Brasile, Panama e l’affaire Montecarlo La storia del direttore-faccendiere

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Lui, il direttore-editore, non ha ancora telefonato: «Non sappiamo dove si trovi, in Brasile, a Panama oppure da un’altra parte», giurano sconsolati i tre cronisti del giornale socialista (2,4 milioni di contributi statali, foglio di 8 pagine, ogni giorno in edicola a 50 centesimi con la foto di Bettino Craxi nella controcopertina per promuovere la campagna abbonamenti). In realtà  in redazione sarebbero cinque, ma Lavitola è all’estero e sua moglie, Mariastella Buccioli, 42 anni, giornalista anche lei, per comprensibili ragioni ieri ha dato forfait («Sarà  sotto choc», commentano i colleghi) e si è rifugiata nella villa di sua madre a «Le Rughe».
Lavitola invece, quando già  la Digos — che era andata a prenderlo nella casa di Ponte Milvio — lo dava ormai per latitante, irreperibile, in fuga, ha mandato una nota: «Non è vero che sono latitante. Come è noto alla Procura, buona parte della mia attività  lavorativa si svolge all’estero ormai da qualche anno. Attendo di definire con il mio avvocato le decisioni da prendere. È mia intenzione collaborare pienamente con la giustizia per chiarire la questione». Ma il suo telefonino era spento e una voce in brasiliano invitava a riprovare più tardi. Grazie, «obrigado».
Già , la questione. I 500 mila euro estorti al premier Berlusconi, secondo i pm di Napoli, dal trio Lavitola-Tarantini-e-signora. «Non mi è mai neppure passato per la testa di raggirare il presidente Berlusconi né di impossessarmi di presunte somme destinate ad una famiglia in difficoltà », ha aggiunto ieri Lavitola nella nota inviata da lontano. La famiglia in difficoltà  sarebbero i Tarantini (che solo per questo avrebbero ricevuto l’aiuto dal premier).
E così le «foto» che, secondo i pm, era la parola in codice usata da Lavitola per parlare di soldi con la segretaria di Berlusconi, Marinella Brambilla, «in realtà  erano foto vere — ha già  spiegato lui nei giorni scorsi —, foto richieste da molti simpatizzanti del Pdl residenti all’estero, dovrei averne ancora qualcuna non consegnata. Non sono il consigliere di Palazzo Chigi per il Sudamerica, ma avrei tanto voluto esserlo…».
Brasile, Panama, per non parlare di Santa Lucia ai tempi dell’affaire Tulliani (appena un anno fa…). In quella zona del mondo Lavitola si dà  un gran da fare. Empresa Pesqueira de Barra de Sao Joao: il nome vi dice qualcosa? È un’azienda che si occupa di commercio all’ingrosso di prodotti ittici. Pesce congelato, surgelato, conservato e secco. La Empresa, con base a Rio de Janeiro, ha aperto ora una succursale anche a Roma, dentro il Car, il grosso Centro Agroalimentare sulla Tiburtina. Al telefono risponde un operatore gentile: «Il signor Lavitola, mi dispiace, non so dove sia e neppure la sua socia, Neire Cassia Pepes Gomes, che però sono certo ha una casa anche qui nella Capitale… Il nostro pesce? No, non viene dal Brasile. Viene dai nostri mari, dall’Europa, crostacei, molluschi, di tutto un po’…».
Valter Lavitola ha 45 anni, è nato a Salerno e ha chiamato suo figlio Giuseppe come si chiamava suo padre, morto da più di un decennio. Suo padre Giuseppe faceva lo psicologo e ogni volta i giornali ricordano che fu anche il perito del boss dei boss della camorra, Raffaele Cutolo. Gli amici di Valter, però, raccontano che questa è una delle cose che più gli fanno male («Quante perizie hanno fatto a Cutolo? Perché tirano in ballo sempre e solo mio padre…»).
In politica dall’84 con il Psi e i Giovani socialisti. Gianni De Michelis lo chiama «Valterino». Si fa presto amici importanti nel partito: Bettino Craxi, Fabrizio Cicchitto, l’ex direttore de L’Avanti! (che portava ancora la «L» davanti) Sergio De Gregorio. Ed è in quegli anni che conosce Silvio Berlusconi. Sulla sua scia tenta la scalata.
Nel ’94 passa a Forza Italia. La sua occasione arriva 10 anni dopo, alle Europee 2004: ma fallisce, è il primo dei non eletti al Sud. Mentre nel 2009 non riesce neppure a farsi mettere in lista. Berlusconi comunque sembra nutrire una grande simpatia umana per questo scugnizzo che un po’ gli somiglia, audace, intraprendente, con interessi nell’edilizia, nel tessile, persino nella silvicoltura e pian piano lo ammette nel cerchio magico: le serate nel castello di Tor Crescenza, le canzoni napoletane di Apicella, fino alla festa con le ballerine di samba che Lavitola in Brasile organizza in suo onore nel giugno di un anno fa. Proprio quando ormai sta per deflagrare la bomba Tulliani.
Lo accusano, infatti, di aver fabbricato lui — è settembre 2010 — il «documento-patacca» del ministro della Giustizia di Santa Lucia che inchioderebbe il cognato di Fini: il beneficiario della casa di Montecarlo, ereditata dal partito di An, è Giancarlo Tulliani. Così scrive il ministro di Santa Lucia. «Non è vero — si difese Lavitola — io faccio solo il giornalista. Ho le mie fonti e infatti ho fatto uno scoop. L’ho detto anche al presidente Berlusconi quando mi ha convocato a Palazzo Chigi. Mi ha chiesto: ma che stai combinando? Di Berlusconi si può dire tutto meno che è scemo. Ma insomma? Io, un amico di Berlusconi che fa un’indagine su Fini commissionata da Berlusconi? Andiamo…».
La Procura di Roma poi ha archiviato tutto, ma ora Lavitola è di nuovo nella bufera. Indagato anche nell’inchiesta napoletana sulla loggia P4 («solo falsità »), la sua verità  sulla questione Tarantini l’ha già  raccontata nei giorni scorsi: «Ho conosciuto Tarantini e la moglie un anno fa in quanto la loro figlioletta ha la stessa età  di mio figlio Giuseppe, frequentano la stessa scuola, pertanto li incontravo quasi tutte le mattine. Mi hanno chiesto se potevo aiutarli con dei piccoli prestiti perché dopo le note vicende erano in pesantissime difficoltà  economiche e non riuscivano ad avere aiuto da nessuno. Cosa che ho fatto. Tali importi, molto più modesti però dei 500 mila euro ipotizzati, mi sono stati rimborsati dal presidente Berlusconi in varie piccole tranche…».
E ancora: «Tarantini recentemente poi mi ha chiesto un prestito di 500 mila euro per poter riprendere a lavorare. Tale importo non gli è mai stato corrisposto, però lui riteneva non so in base a quali fonti (forse bleffava…) che avessi la disponibilità  della somma che lui aveva chiesto. In ogni caso poi ci siamo visti e chiariti. In una telefonata abbiamo anche parlato di vicende giudiziarie, è vero. Lui mi disse che un avvocato gli consigliava il patteggiamento, io invece gli ho consigliato di andare a processo, in quanto ai pm ha detto sempre la verità …». Già . Così è fatto Lavitola: sempre perfettamente a suo agio. Come una salamandra in mezzo al fuoco.


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