Bpm in stallo cerca la svolta nella governance

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MILANO – Con il titolo che ha perso un altro 1,95% scendendo a quota 1,25 euro e il consorzio di garanzia che giudica non adeguate le attuali condizioni e la tempistica per portare avanti l’aumento di capitale chiesto da Banca d’Italia, la Banca Popolare di Milano appare sempre più in stallo. Oggi il presidente Massimo Ponzellini cercherà  di dare una scossa al cda che si riunirà  nel pomeriggio introducendo l’argomento del cambio di governance all’interno della banca ma nessuno si attende risultati concreti e immediati. Occorre trovare la quadra, secondo chi ha parlato con Ponzellini, tra la fattibilità  dell’aumento di capitale, una gestione operativa più snella e più lontana dai sindacati interni, e la natura cooperativa della banca. Un bel rebus che la sola introduzione del sistema dualistico, con lo sdoppiamento del consiglio di amministrazione tra “sorveglianza” e “gestione” da solo non è in grado di risolvere. L’idea del duale – che tra l’altro è un sistema che non è mai piaciuto ai tecnici di Bankitalia – è venuta per permettere l’ingresso della Sator di Matteo Arpe che in cambio di un investimento di 200 milioni vorrebbe chiedere i poteri gestionali. Sator potrebbe superare gli ostacoli derivanti dal tetto al possesso azionario dello 0,5% del capitale, presente nello statuto della Bpm, in quanto è una società  di gestione europea e in questo caso valgono le regole del paese di provenienza. L’unico limite da tener conto sarebbe quello sulla cifra da investire, che non potrebbe superare i 200 milioni, oltre al fatto che Arpe dovrebbe dimettersi dal consiglio di Banca Profilo, società  quotata in Borsa di cui attualmente fa parte.
Ma il vero ostacolo, in realtà , è che lo sdoppiamento del consiglio porterebbe a un aumento delle poltrone da distribuire anziché a uno snellimento come richiesto da via Nazionale. Inoltre bisognerebbe assegnare al consiglio di gestione ampie deleghe operative, fatto che certamente non piacerebbe alle sigle sindacali. Le alternative al duale, peraltro, sembrano ancora più deboli: l’introduzione di comitati interni forti o criteri di selezione più rigidi e stringenti per la formazione del consiglio di amministrazione, con consiglieri indipendenti, appaiono alla stregua di pannicelli caldi che il mercato sicuramente boccerebbe. Ma soprattutto, per perfezionare un cambiamento così importante della governance della Bpm, occorrono almeno due mesi compreso il passaggio finale in assemblea per nulla scontato visto come è andata l’ultima volte con l’innalzamento da tre a cinque delle deleghe di voto.
Intanto il tempo stringe e l’aumento di capitale promesso e già  annunciato prima dell’estate si allontana. La Consob ha chiesto ulteriori informazioni da inserire nel prospetto informativo ma nell’arco di 10-15 giorni dovrebbe aver completato il lavoro e fornire l’atteso via libera. A quel punto i vertici della banca saranno con le spalle al muro: Ponzellini sarà  costretto a convocare nuovamente il consiglio di amministrazione che dovrà  approvare i termini e le condizioni dell’aumento anche se il consorzio di garanzia potrà  chiamarsi fuori invocando le avverse condizioni dei mercati (la clausola Mac presente in questi tipi di contratti). E a quel punto la Banca d’Italia, in assenza dell’aumento di capitale e di una svolta decisiva sul fronte della governance, potrebbe anche decidere per il commissariamento.


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