Bossi vede Tremonti e media con il premier sulla cabina di regia

by Sergio Segio | 27 Settembre 2011 6:49

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MILANO — Un decreto sullo sviluppo che ancora non mette d’accordo Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti, anzi: il Pdl intende imporre al ministro all’Economia una «cabina di regia». E poi, la riforma delle pensioni a cui una parte della maggioranza (e lo stesso premier) non ha ancora rinunciato. L’altro tema in discussione, la legge elettorale per disinnescare il referendum, stante l’assenza di Roberto Calderoli, probabilmente, non viene affrontato.

Umberto Bossi veste i panni che più ama, quelli del grande mediatore. E in questa veste riceve Giulio Tremonti in via Bellerio, il quartier generale del Carroccio. Secondo fonti del Pdl sarebbe stato lo stesso premier ad aver chiesto all’«amico Umberto» di «far ragionare» il ministro all’Economia, versione che nel Carroccio smentiscono. Con il capo padano, ci sono Roberto Cota, Giancarlo Giorgetti, Roberto Maroni. Chissà  perché, nessuno vuole attribuire un significato particolare all’incontro: «Siete voi giornalisti che parlate di vertici quando si tratta invece di normalissimi incontri per affrontare gli appuntamenti che verranno». E del resto, dal ministero all’Economia si apprende che ancora non si può parlare di un decreto sviluppo, visto che al momento c’è soltanto una serie di provvedimenti che ancora devono trovare sistemazione organica.

Insomma, più che sul merito dei provvedimenti, i due vecchi amici hanno affrontato questioni soprattutto di scenario. Certo è che Tremonti viene descritto da chi lo ha visto ieri pomeriggio come «abbastanza rinfrancato» dal faccia a faccia con un Bossi che peraltro anche domenica sera non ha mancato di esprimere la sua solidarietà  al ministro: «Non credo proprio che Tremonti corra dei rischi».

Ma intanto nella Lega si apre un altro caso. Il professore Dario Fruscio, uno dei più importanti economisti del Carroccio, ieri è stato durissimo durante la trasmissione «Focus economia» di Sebastiano Barisoni su Radio 24, dove ha spiegato le ragioni che ritiene essere dietro al suo commissariamento: lo scorso giugno è stato rimosso dal ministro Romano dalla presidenza dell’Agea, l’agenzia per le erogazioni in agricoltura. L’intervistatrice, Valentina Furlanetto, gli ha chiesto quanto abbia pesato la sua posizione legalitaria riguardo alle quote latte: «Ha pesato tutto. Perché non solo il signor Romano ha un forte potere di ricatto sul governo, ma anche il mio movimento ha una posizione forte».

Per cui, secondo Fruscio, «il problema delle quote latte, secondo le modalità  patrocinate dall’onorevole Bossi — cioè, un tratto di penna e finiamola lì — era assecondato da gran parte dei ministri». Sennonché, prosegue Fruscio, «la legge Zaia obbliga al pagamento questi inadempienti. A prescindere da quello che posso pensare su questi dissennati sforatori, e dunque di gente che si è arricchita ai danni dell’erario». Le cifre sono da brivido: «Circa 3,6 miliardi già  pagati, e il residuo è di circa 1,6 miliardi». Fruscio racconta che lui spiegava che le multe andavano pagate: «Finché mi son sentito dire, da parte dei miei della Lega: ma allora non ci senti… dimettiti. Allora, sarai commissariato».

Fruscio ha voluto astenersi dal rispondere alla domanda se ci sia relazione tra questo episodio e il voto di domani sulla sfiducia a Romano. Si è però detto «non deluso, ma ai limiti della demoralizzazione». Perché «dopo vent’anni di Lega, il Nord sta peggio di prima: non c’è stata nemmeno una tutela egoistica». Fruscio conclude con una speranza: «Si finisca di essere il pretorio che sostiene questo governo, a rischio di distruggere se stesso».

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