Bossi: il governo non arriva al 2013

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PIAN DEL RE – Il governo? «Per ora va avanti». Arriverà  fino al 2013? «Mi sembra troppo». Nella piazza di Paesana, mentre Rosy Mauro infiamma dal palco il manipolo di militanti leghisti accorsi a celebrare il rito dell’ampolla, Umberto Bossi lancia il suo avvertimento a Berlusconi. Non sono ore semplici per il senatur. L’attacco di Panorama alla moglie, Manuela Marrone, («è lei l’anima nera del movimento e tratta il partito come un bene di famiglia da destinare al Trota») ha lasciato il segno: «Sono degli stronzi – sillaba Bossi – e mia moglie è una brava persona». Poi, alle sorgenti del Po, durante il rito druidico, incorona il «Trota»: «Io verrò qui tutti gli anni e dopo di me verrà  mio figlio che oggi ho portato con me».
Ma non sono più gli anni ruggenti. La Lega ha fiato corto. In mattinata, salendo in auto da Paesana al Pian del Re, anche Bossi deve attraversare Crissolo, l’ultimo paese prima delle sorgenti: qui ai balconi le bandiere italiane battono quelle padane 5 a 2. La sconfitta che brucia di più è sette chilometri più in alto, dove la strada finisce. Nella conca ai piedi della piramide del Monviso un centinaio di sindaci con la fascia tricolore accusa i vertici leghisti di aver tradito le promesse e di voler eliminare i piccoli comuni: «Lontani dal Nord, comodi a Roma», si legge sullo striscione mentre gli amministratori intonano l’Inno di Mameli. Bossi guarda e perde la pazienza: «Cornuti». Ma è un esorcismo. Perché lì, tra quei sindaci, c’è un pezzo di consenso che la Lega sta perdendo proprio nel suo core businees, nei paesi della grande provincia italiana.
Per recuperare il terreno perduto il Capo usa tutti i mezzi compreso l’antico mito della secessione: «L’Italia va a picco. Lo avevamo capito e adesso lo vedono tutti. Per questo bisogna puntare sulla Padania». I militanti scandiscono «Secessione, secessione». Più tardi, nel comizio di Paesana, indicando un cartello che inneggiava all’«Indipendenza», il ministro Bossi grida: «Quella è la strada». La tesi è ardita: «Se fosse solo la Padania a confrontarsi con il resto d’Europa, forse potrebbe farcela». Slogan che accendono gli animi dei militanti ma non servono a coprire la crisi di consenso. A margine del comizio Roberto Calderoli ammette: «Certo che stiamo pagando la manovra. Ma nell’ultimo mese stiamo risalendo perché la gente ha capito che noi difendiamo le pensioni». Da chi? «Da tutti i partiti – dice Bossi dal palco – dalla sinistra e anche da Berlusconi e Confindustria che volevano toccarle alla povera gente». Punzecchiature al presidente del Consiglio o all’editore di Panorama? Certo avvertimenti agli alleati. Berlusconi non va dai magistrati di Napoli? «Beato lui, risparmia tempo». E’ giusto bloccare le intercettazioni? «Magari». Ma attenzione perché «le intercettazioni ci sono». Nel mirino torna anche Renato Brunetta: «Non capisce un cazzo». La Lega applaude mentre a Cuneo, in fretta e furia, il sottosegretario leghista Michelino Davico incontra i sindaci ribelli. Ci sarà  bisogno di tutti i militanti per risalire la china. Anche di quelli scomodi, come Mario Borghezio, sospeso dal partito per il suo commento alla strage di Oslo. E’ lì anche lui, tra la folla. Ma non era in quarantena? «Ho avuto il consenso del Capo».


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 HA DETTO Berlusconi che «a noi Grillo ci fa un baffo». È strano, perché la mobilitazione delle folle, l’appello a passioni selvagge come l’ira o la vendetta, le rivoluzioni che fanno tabula rasa del passato, il paese reale brandito contro il paese legale sono stati gli ingredienti della sua presa del potere nel ’94.

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