Bersani con Di Pietro e Vendola Renzi attacca, Veltroni assente
ROMA — Sono le 11 del mattino quando, in mezzo al corteo anti-manovra, arriva Pier Luigi Bersani: gran mucchio di fotografi e telecamere, il servizio d’ordine della Cgil fatica obiettivamente a contenere la ressa, il leader del Pd si mette a fianco di Susanna Camusso e comincia a scendere lungo via Merulana. Era il momento più atteso, Bersani l’aveva promesso: «Anche il Pd sarà in prima linea». I leader dell’opposizione, Terzo polo escluso, ci sono tutti: Vendola, Ferrero, Diliberto, Bonelli, Di Pietro. «Qui la coalizione c’è — sibila il leader dell’Italia dei Valori —. Il problema non è chi c’è, ma chi manca. Se alcuni hanno la puzza sotto il naso, è un problema della loro coscienza».
Già , chi manca. Nelle cento piazze della Cgil, certe assenze si sono notate. «Ma il Pd da che parte sta?», si chiedeva ironico a fine giornata il deputato della Lega Nord Giacomo Stucchi. Ma non solo lui, in realtà . Pd diviso, spaccato. Tra chi c’era e chi no. Al corteo di Firenze, per esempio, non è pervenuto il sindaco Matteo Renzi. C’era, invece, uno striscione velenoso: «Renzi, il sindaco che la destra ci invidia». Nella stessa piazza, però, s’è vista Rosy Bindi, che del Pd è la presidente. Sibillina, la Bindi: «Ci sono persone che ritengono che non si debba ricorrere a strumenti di lotta radicali, estremi, anche se pacifici, come quello che la Cgil ha scelto. Si assumano le loro responsabilità : noi non abbiamo dubbi da che parte stare».
Il sindaco «rottamatore» del Pd, qualche ora più tardi, ha risposto a modo suo alle gerarchie del partito: «Bersani tiri fuori le idee, non solo gli striscioni. Gli elettori del Pd non si aspettano di sapere se siamo in piazza o no, ma se abbiamo prospettive, proposte, per il lavoro e per i giovani. La manovra del governo sembra fatta dal mago Silvan, con provvedimenti che appaiono e scompaiono. Poi però i mercati te la fanno pagare…». E così, a Firenze, Renzi non c’era, mentre — per dire — i suoi colleghi di Torino e Bologna, Piero Fassino e Virginio Merola, hanno seguito Bersani. E non s’è visto a Trieste nemmeno il sindaco Cosolini, mentre l’europarlamentare Debora Serracchiani, del Pd come lui, non ha fatto mancare la sua presenza («Il partito è il partito e il sindacato è il sindacato, ma l’articolo 8 fa proprio schifo…», ha spiegato).
Eppoi a Brescia c’era il funerale di Mino Martinazzoli: «Coincidenza simbolica», sospira il senatore pd Lucio D’Ubaldo, che infatti c’è andato, disertando il corteo di Roma insieme ai suoi colleghi ex popolari Garavaglia, Rusconi e Galperti. Tutti al funerale del vecchio segretario della Dc: anche Franceschini e Follini. Però la Bindi e Bersani hanno fatto ugualmente in tempo a partecipare alle esequie. D’Ubaldo glissa: «In questo momento serve coesione, per dare fiducia ai mercati…». Roberto Giachetti, ex rutelliano, è un altro che non ha aderito: «Il risultato di questo sciopero, scusate, qual è stato alla fine? S’è rotta di nuovo l’unità sindacale». «Le divisioni sindacali non fanno mai bene», aveva chiosato alla vigilia Walter Veltroni, che infatti s’è tenuto alla larga. Eppoi c’è Giuseppe Fioroni, il caposquadra degli ex popolari, il primo a schierarsi nettamente contro lo sciopero: «Già , ma ora non mi sento più solo. L’altra sera a Pesaro sono stato insultato, ma alla fine la gente applaudiva. Noi dobbiamo essere forza di governo, lasciamo cavalcare a Di Pietro e Vendola l’onda della protesta. Noi non siamo surfisti».
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