Banche, oro e compratori inglesi Il Tesoro alla sfida del debito
Lunedì e martedì dovrà vendere altri titoli di vari tipi, per un valore fra cinque e sette miliardi di euro.
In tempi normali sarebbe stata routine burocratica: una disciplina che si pratica in silenzio per far funzionare un organo la cui efficienza si dà per scontata. Ma quando l’aria è rarefatta, ogni respiro diventa importante. Per pagare gli stipendi, rimborsare i Bot e i Btp in scadenza o coprire il deficit, l’Italia deve trovare credito sul mercato per almeno 123 miliardi di euro entro la fine dell’anno e per altri 440 miliardi circa nel 2012. Niente fa pensare che sia fuori dalla portata del Tesoro, ma tutti al ministero e fuori sanno che i prossimi sedici mesi saranno un cammino lungo un crinale sottile. «Non c’è inquietudine — nota Ciro Pietroluongo, direttore generale di Mts —. Però la situazione che abbiamo davanti richiede enorme attenzione».
Mts è la piattaforma elettronica, oggi controllata dal London Stock Exchange, creata per assicurare un finanziamento sicuro ed efficace al debito italiano. La volle un direttore generale del Tesoro di nome Mario Draghi dopo la crisi finanziaria di vent’anni fa. Da allora ha funzionato benissimo e anche in questi giorni di stress continua a «fare prezzo» per chi vuole entrare e uscire dal debito italiano. Ma in questi giorni lo scarto fra domanda e offerta è di oltre venti volte maggiore che in tempi normali, sintomo che gli investitori sui titoli del Tesoro sono più rarefatti del solito.
Chi ha vissuto sul mercato quest’estate inizia a notare alcune tendenze ricorrenti nei flussi sui bond emessi da via XX Settembre. Gli investitori francesi, di solito fra i più attivi, sono scomparsi: l’esposizione delle banche transalpine è già alta, intorno ai 300 miliardi di euro. Fermi anche gli ordini dalla Germania e deboli quelli dagli Stati Uniti. I grandi fondi asiatici negli ultimi mesi non hanno venduto l’Italia, ma non hanno neppure incrementato le posizioni. I principali compratori di Btp sono banche e fondi d’investimento basati soprattutto a Londra.
Anche la domanda di Btp dall’Italia continua ad affluire e certi indicatori indicano che il Tesoro ha ossigeno di riserva. Nelle casse di via XX Settembre (il «fondo di ammortamento») a fine agosto c’erano circa 50 miliardi di euro: più o meno tanto quanto aveva il Tesoro americano, che pure lavora su un’economia e un debito dieci volte più vasti. Inoltre la vita media dei titoli in Italia è lunga, sette anni, per un tasso d’interesse medio di appena 4%: in teoria il Paese potrebbe navigare a lungo nella tempesta dei mercati senza per questo dover andare in affanno.
Poi, però, il debito va rifinanziato ogni settimana con sempre nuovi fondi ed è su questo che la sfida diventa delicata. Per far funzionare le aste di collocamento dei Btp alla perfezione, il Tesoro lavora a stretto contatto con 20 banche «specialiste» con cui ha concluso dei contratti. Si tratta di grandi gruppi globali come Deutsche Bank, Citi o Jp Morgan e tre italiane (Imi, Unicredit, Mps). Questi venti istituti sono tenuti a comprare almeno il 60% in totale del debito italiano offerto dal Tesoro ogni anno, ma ultimamente alle aste i venti assorbono fino al 99% dei titoli emessi. La loro presenza è decisiva, ma il loro lavoro ormai è tutt’altro che facile. Alcune delle banche «specialiste» hanno persino preso l’abitudine di prepararsi alle aste del Tesoro vendendo alla Banca centrale europea titoli italiani poche ore prima. «Non ci sono compratori sul mercato — spiega un banchiere —. Dobbiamo fare spazio nel portafoglio per poterne prendere degli altri». Senza la presenza discreta della Bce ai margini, le aste del Tesoro non funzionerebbero più. Al punto che qualcuno inizia a pensare a come stendere una rete di sicurezza grazie alla riserva della Repubblica: oggi è depositata nei caveau della Federal Reserve di New York, ma appartiene alla Banca d’Italia. Sono lingotti d’oro per cento miliardi di euro: non tutto potrà essere venduto, ma sono lì proprio per aiutare il Paese a superare i momenti difficili.
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