Banche, la crisi costa 300 miliardi Fmi: “Il tempo sta per scadere”

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WASHINGTON – La crisi del debito sovrano è costata finora alle banche europee circa 200 miliardi di euro. Addirittura 300 se si include «l’aumento del rischio di credito delle esposizioni interbancarie». Per evitare il contagio, servono «soluzioni politiche coerenti». Il Fondo monetario internazionale stila un preoccupatissimo Global financial stability report. Senza mezzi termini, il suo autore, Jose Vinals avverte: «Siamo tornati in una fase pericolosa». Negli ultimi mesi «i rischi finanziari sono aumentati». Oggi siamo nel pieno di una «crisi di fiducia dovuta a tre fattori: crescita debole, bilanci deboli e politica debole».
Christine Lagarde, neo-direttore generale del Fmi, calcola gli effetti sul Sud del mondo del doppio choc, finanziario e alimentare: altri 44 milioni di nuovi poveri solo quest’anno. I pericoli sulla crescita dell’economia globale sono «marcatamente aumentati».
E c’è poco da stare allegri. Nella loro analisi, gli esperti dell’Fmi rilevano che i rischi finanziari stanno crescendo. «Il tempo per affrontare le vulnerabilità  che minacciano il sistema finanziario globale e la ripresa economica sta per scadere», si legge nel testo. La strada verso una crescita sostenibile si è ristretta, ma «non si è chiusa». Bisogna che la riforma delle regole, affidata al Financial Stability Board guidato dal governatore italiano Mario Draghi, sia «conclusa e attuata rapidamente». Ai politici, chiamati a prendere le decisioni per uscire dal tunnel, il Fondo raccomanda «sforzi credibili»: per prevenire il contagio e rafforzare il sistema finanziario. Un’adeguata azione fiscale, con appropriati livelli di capitale delle banche, può rompere il link fra il rischio-debito e le banche medesime. Gli istituti più deboli «hanno bisogno di essere ristrutturati e se necessario chiusi». Numerose banche devono aumentare il loro capitale, anche usando fondi pubblici, compresi quelli dell’Efsf, il fondo salva-stati.
Nel rapporto c’è la cronistoria della crisi del debito, con le sue tappe. L’epicentro è stata la Grecia, su cui oggi ancora trattano affannosamente gli esperti Ue, Fmi, Bce. Atene ha varato proprio ieri un nuovo piano d’austerity lacrime e sangue per convincere la Troika a sbloccare la sesta tranche di aiuti da 8 miliardi entro metà  ottobre, quando finiranno i soldi nelle casse dello Stato. I provvedimenti prevedono un taglio del 20% per le pensioni sopra i 1.200 euro e l’aspettativa coatta per 30 mila dipendenti pubblici entro fine anno. Questi ultimi riceveranno il 60% dello stipendio per 12 mesi. Poi, se non avranno trovato un nuovo impiego nell’amministrazione statale, saranno licenziati. Previsto pure un colpo di forbice sugli assegni previdenziali per chi è andato in pensione anticipata e un allungamento fino al 2014 della patrimoniale sulla casa. «È un messaggio forte ai mercati – ha detto un portavoce del governo Papandreou –. La Grecia intende mantenere i suoi impegni».
Il mondo del credito Ue resta con il fiato sospeso per capire se queste misure basteranno ad evitare il default. Da Atene sono partite quattro ondate con impatto negativo sulle banche. La prima ha a che fare con i loro 60 miliardi di euro di esposizione verso la Grecia. La seconda, con la crisi allargata a Irlanda e Portogallo. La terza ondata si e’ avuta con le difficoltà  di Belgio, Italia e Spagna. L’ultima, include i balzi degli spread tra i titoli dei Paesi deboli e il bund tedesco.


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