Atenei a rischio default si salvano solo i rettori

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 Il consiglio dei ministri ha approvato ieri il quinto decreto attuativo della riforma Gelmini (ce ne sono altri 37 in attesa). Sia pure attenuato dal passaggio parlamentare, il provvedimento sui parametri di sostenibilità  finanziaria degli atenei e il loro commissariamento inaugura una nuova tappa nella storia dell’università  italiana. D’ora in poi il ministero dell’Economia, per mezzo di quello dell’Università , potrà  intervenire direttamente nella gestione finanziaria degli atenei sul modello delle Asl.

La procedura prevede tre avvertimenti (warning, sul modello di Moody’s o di Standard’s & Poor). Il primo viene dato alle università  in disavanzo. Se in cinque anni non rientreranno dal debito, verrà  dichiarato il dissesto finanziario. Infine c’è il «cartellino rosso»: gli atenei in default verranno commissariati, come la Grecia. Il decreto è stato ammorbidito per non mettere nei guai una serie di atenei, Siena o Bari ad esempio, che hanno avviato un duro piano di rientro per abbattere i debiti da capogiro accumulati in anni di gestione allegra dei bilanci.
Stando al testo passato nelle commissioni parlamentari, questa decisione rappresenta in pillole la filosofia del tremontismo, il puro concentrato delle sue idee sulla gestione della cultura pubblica in questo paese. Ripercorriamone i passi perché il Fregoli di via XX settembre segue percorsi tortuosi lungo i quali è facile perdersi. Nel 2008 impone il taglio di 1,3 miliardi di euro al finanziamento delle università , facendolo passare da 7,4 a 6,1 miliardi. Trentasette atenei, che non brillano per rigore nella gestione dei bilanci, si ritrovano oggi con il bilancio in rosso. Tecnicamente rischiano un’insolvenza dovuta alla diminuzione dei contributi voluta dal ragioniere che gestisce la partita della parità  del bilancio dello Stato.
Con il decreto approvato ieri, ecco che si mostra un’altra maschera: quella del commissario liquidatore. Le università  che avranno superato il tetto del 90% nel rapporto tra le spese fisse e i fondi ricevuti verranno prima ammonite e, se ritenute incapaci di tagliare dipartimenti o di aumentare le tasse degli studenti, verranno espulse dal campionato gestito da uno dei pilastri della legge Gelmini, l’Agenzia per la valutazione del sistema universitario (Anvur). Dopo che il commissario inviato da Roma avrà  tagliato i «rami secchi» dell’insolvente, all’ente che dovrebbe occuparsi solo di valutazione della ricerca toccherà  anche decidere se continuare a finanziare l’ateneo in rosso, oppure accorparlo in una federazione con altri.
È la nemesi di vent’anni di riforme universitarie iniziate nel 1989 con la «Ruberti». Gli atenei hanno moltiplicato corsi, cattedre e sedi periferiche, abusando della loro autonomia. Il decreto sul commissariamento rappresenta la loro pena del contrappasso. Quanto al progetto originario della riforma Gelmini, viene confermato tutto il suo zelo centralistico. L’idea che il Miur commissari gli atenei, e che un collegio di revisori di conti – anch’esso di nomina ministeriale – accerti le condizioni del dissesto, rivela quanta sfiducia nutra la classe politica rispetto al mondo universitario che non ha saputo gestire le virtù e i propri vizi.
In attesa che il testo venga pubblicato sulla Gazzetta ufficiale, gli unici a sopravvivere a questa cura da cavallo dovrebbero essere i rettori. Incredibile a dirsi, ma gli eventuali responsabili del dissesto finanziario resteranno nella stanza dei bottoni. Il patto siglato tra Gelmini e i rettori sopravviverà  anche alla fine dell’università .


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