Arabia Saudita, voto alle donne la svolta democratica della monarchia del petrolio

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BEIRUT – Dopo una riflessione durata anni, re Abdullah bin Abd el Aziz al Saud ha annunciato che le donne saudite potranno finalmente votare e candidarsi alle elezioni amministrative, le uniche permesse In Arabia Saudita. Rappresentati femminili avranno anche accesso al Consiglio della Shura, una sorta di Camera con potere esclusivamente consultivo, composta da 150 membri di nomina reale. L’annuncio di re Abdullah ha fatto subito gridare alla “svolta” nella ultra conservatrice monarchia petrolifera. Essa, tuttavia, rappresenta soltanto una goccia nell’oceano che separa le donne saudite dalla condizione di parità .
L’occasione scelta da re Abdallah, un sovrano al quale viene attribuita una cauta propensione alle riforme, non poteva essere più solenne: l’apertura della nuova legislatura, se così si può dire, della Shura, inaugurata con un discorso di cui è stata diffusa soltanto la sintesi riguardante il voto alle donne. «Dal momento – ha detto il sovrano – che noi ci rifiutiamo di emarginare le donne in tutti quei ruoli conformi con la Sharia (la legge islamica, ndr), abbiamo deciso, dopo deliberazioni con i nostri anziani ulema (gli esponenti religiosi che fanno parte dell’omonimo potente consiglio, ndr) e con altri, di coinvolgere le donne nella Shura come membri, a partire dalla prossima sessione. Le donne potranno concorrere come candidate alle elezioni municipali e avranno persino il diritto di voto». Ma anche qui, a partire dalla tornata elettorale che dovrebbe aver luogo fra quattro anni, perché per le prossime elezioni, in programma il 29 settembre, tra tre giorni, è troppo tardi per avanzare candidature, o modificare le liste elettorali.
In un sistema dove i partiti sono vietati, come tutte le manifestazioni del libero pensiero e dove l’unica vera istituzione su cui si fonda lo stato è la famiglia reale, anche le elezioni amministrative rappresentano un’operazione largamente di facciata. Basta dire che il corpo elettorale elegge soltanto il 50 per cento dei consiglieri, l’altro 50 per cento essendo nominato dalla Corona. Non è un caso, poi, che alla scadenza del primo mandato, nel 2009, le elezioni comunali sono state tranquillamente rinviate di due anni.
E tuttavia per chi è costretto a vivere in una condizione di inferiorità  e di sostanziale sottomissione, come di fatto sono le donne saudite, quel primo passo verso il riconoscimento dei diritti di cittadinanza è già  qualcosa. Tant’è che, in previsione della scadenza del 29 settembre, alcune donne hanno voluto proporsi come candidate, ma solo per essere rifiutate. Ad aprile, una di queste, Samar Badawii, ha presentato un esposto al ministro per gli enti locali contro il bando alle donne. Contemporaneamente a Gedda, città  considerata molto più tollerante di Riad, un gruppo di donne ha persino osato presentarsi al comitato elettorale per reclamare l’iscrizione nelle liste. Ma anche qui sono state respinte con perdite.
I consiglieri di re Abdullah devono aver tenuto presente tutto questo prima di annunciare la “svolta”. Soprattutto avranno considerato il rischio che si ripeta quello che è successo la scorsa primavera, dopo la protesta delle donne contro il divieto di guidare la macchina e la pessima pubblicità  che ne è venuta per l’austero regno del petrolio. Un regno dove le donne non possono esercitare alcun diritto se non assistite da un “tutore” o “guardiano”. Non possono guidare, non possono viaggiare, non possono studiare materie non consentite, non possono lavorare se non come insegnanti (di classi femminili), o infermiere o medici (di reparti femminili). Non possono ereditare. Non possono scegliersi il marito. Non possono persino farsi sottoporre a determinate operazioni. Ma fra quattro anni, forse, voteranno.


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