Antimafia, lite nel governo La legge e le imprese

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ROMA — «Perché bisogna fornire i certificati alla Pubblica amministrazione che ce li ha già  in casa? Dobbiamo semplificare la vita dei cittadini e delle imprese eliminando i certificati inutili, come il documento che attesta la regolarità  dei contributi previdenziali ed il certificato antimafia» dice Renato Brunetta, spiegando che nel decreto Sviluppo a cui sta lavorando il governo ci saranno altre norme contro la burocrazia. Ma neanche finisce di parlare, il ministro della Funzione pubblica, che si scatena il putiferio. Sulle agenzie di stampa piove un diluvio di dichiarazioni indignate. Eliminare il certificato antimafia? «Assurdo», «pericoloso», «folle», «delirante»: l’opposizione è all’arrembaggio.

Interviene anche il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, con una nota ufficiale del Viminale. «La certificazione antimafia — fa sapere — non può essere modificata, perché è uno strumento indispensabile per combattere la criminalità  organizzata e, in particolare, per contrastare le infiltrazioni malavitose negli appalti pubblici. Il governo ha appena approvato il Codice delle leggi antimafia che ha riscritto la normativa sulla certificazione antimafia per renderla più efficace e rapida, venendo incontro anche alle richieste del mondo delle imprese» puntualizza Maroni, mentre il Pd, i Verdi, Alleanza per l’Italia e Futuro e libertà  incalzano. «Brunetta? Ha perso una buona occasione per star zitto. E Maroni ha detto che non se ne parla» commenta il presidente della Camera, Gianfranco Fini.

Un coro che Brunetta non manda giù. E risponde per le rime. «Il collega Maroni ha perfettamente ragione: il certificato antimafia è indispensabile, ma è indispensabile che a procurarselo siano le pubbliche amministrazioni al loro interno senza vessare imprese e cittadini trattati alla stregua di inesausti fattorini». Perché chiedere a un’impresa il certificato antimafia, «quando l’amministrazione lo può acquisire d’ufficio?» si domanda Brunetta. «La mia proposta è perfettamente in linea con le specifiche disposizioni dettate in materia dal nuovo Codice antimafia», fa osservare a Maroni. E Fini «proprio per l’alta carica istituzionale che ricopre, avrebbe dovuto avvertire l’esigenza di informarsi sui contenuti della proposta». E pure tutti gli altri, «anime belle, disinformati e in malafede, si leggano le carte».

La polemica sembra scemare, ma sul decreto Sviluppo restano mille incertezze. Ieri il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, ne ha discusso con il leader della Lega, Umberto Bossi. Domani, al Tesoro, c’è una nuova riunione con le parti sociali, giovedì un seminario sulle privatizzazioni. Nella maggioranza molti volevano che la sede del confronto venisse spostata a Palazzo Chigi. Di idee ce ne sono tante (Berlusconi ne ha contate 27), a cominciare dagli sgravi fiscali per gli appalti sulle infrastrutture, ma di proposte scritte, per ora, non c’è nulla. E le risorse vanno ancora trovate. Venerdì il Consiglio dei ministri potrebbe solo avviare l’esame del decreto.


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