Addio Maathai, signora degli alberi
Ancora in recenti dibattiti tra ambientalisti kenyani, pochi mesi fa, ho sentito chiamare la premio Nobel Wangari Maathai semplicemente “the Professor” e tutti capivano a chi si stesse alludendo. L’epiteto, per metà rispettoso e per metà insofferente, con cui era indicata questa persona straordinaria, che si è spenta ieri a 71 anni in un ospedale di Nairobi dopo una lunga lotta contro il cancro, ben riassume il suo prestigio universale e al tempo stesso la distanza che malgrado i trionfi ha sempre separato questa “donna contro” da un più vasto consenso. Malgrado il suo sorriso disarmante e l’apparente buon senso delle sue battaglie ecologiste, Wangari Maathai era scomoda e difficile, anche per i suoi stessi compagni di lotta, talora addirittura imbarazzandoli per la radicalità , o la scorrettezza politica, di certe sue prese di posizione.
I media ora la ricordano chiamandola “la Madre degli alberi”, per via delle campagne contro la deforestazione che la resero famosa; Nelson Mandela e l’arcivescovo Tutu salutano in lei “una vera eroina africana”; e mezzo mondo, dai governi alle organizzazioni ambientaliste, la piange con commozione. Eppure torna in mente, come possibile epitaffio, il commento attribuito al marito da cui lei divorziò poco più che quarantenne, quasi un trentennio fa: Wangari, disse l’uomo, era «troppo istruita, troppo forte, troppo di successo, troppo ostinata e troppo difficile da controllare». Molti maschi, africani ma non solo, molti rivali ma anche molti alleati, molti uomini politici del suo Paese, sia che l’avessero all’opposizione sia che le avessero assegnato un ruolo di governo, la pensano probabilmente allo stesso modo.
Wangari Maathai era nata a Nyeri, sull’altopiano del Kenya, il primo aprile del 1940, e si era distinta tra le ragazze della sua generazione per lo straordinario successo negli studi, diventando la prima donna in tutta l’Africa centro-orientale a conseguire un dottorato. Era il 1971, la materia Anatomia veterinaria. Di qui la cattedra all’università di Nairobi e il titolo accademico che le sarebbe rimasto attaccato per il resto della vita.
Altri sarebbero stati però i motivi che avrebbero dato fama universale a “the Professor”. Alla fine di quello stesso decennio, mossa da una passione ambientalista all’epoca ancora profetica non solo per l’Africa ma per il mondo intero, scese in campo contro la deforestazione selvaggia che affliggeva il Kenya così come buona parte del continente (e avrebbe causato di lì a poco le prime grandi carestie di fine secolo). L’idea meravigliosa di Wangari Maathai non fu tanto, o non solo, quella di fondare un movimento che aveva il semplice scopo di ripiantare alberi, il Green Belt Movement; ma di renderne protagoniste le donne. Sono loro, ovunque in Africa, costrette a cercar legna, l’unico combustibile facilmente reperibile in natura, sempre più lontano dalla capanna e dal villaggio; loro le autentiche custodi della vita, della tradizione e del futuro; loro, nell’intenzione del futuro premio Nobel, il soggetto della conservazione ambientale e del cambiamento. Di qui il carattere unico del Green Belt Movement: verde e al tempo stesso femminista; ecologista ed emancipatorio.
L’idea era semplice e luminosa; la vita divenne immediatamente difficile. Il movimento si scontrò quasi subito con le autorità , specie quando si oppose alla svendita a speculatori privati di foreste del demanio ancora intatte e soprattutto nella celebre battaglia (vinta) contro l’edificazione di una mega-sede dell’allora partito unico nel solo parco verde di Nairobi. Wangari Maathai subì diversi arresti, fu picchiata, additata come nemico pubblico dall’allora presidente-padrone del Kenya Daniel arap Moi, insultata, minacciata di morte.
Lei tenne duro; e quando il tempo di Moi finì, sembrò incominciare il suo. Il Kenya conobbe una breve stagione di rinnovamento e nel 2002 la Maathai fu eletta trionfalmente al Parlamento e nominata sottosegretaria all’Ambiente. Nel 2004 la consacrazione mondiale: il premio Nobel per la Pace, prima donna africana.
Durò poco. Nel 2008 finì intossicata dai lacrimogeni durante una manifestazione contro il progetto governativo di aumentare il numero delle poltrone ministeriali. Wangari Maathai era tornata “contro”. Lascia tre figli, una nipote, milioni di alberi piantati in Kenya su sua istigazione e un’eredità di speranza alle donne povere del mondo.
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