24 chilometri di pacifismo

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Un passo dopo l’altro: è il cuore e lo spirito della marcia Perugia-Assisi, che quest’anno compie 50 anni da quando, nel 1961, Aldo Capitini la lanciò, circondato da pochi appoggi e molti dubbi. Stamattina si parte alle 9 dai Giardini del Frontone di Perugia, e come sempre si raggiungerà  la Rocca di Assisi intorno alle 18. Migliaia le adesioni, e questa non è una novità : da anni ormai la Perugia-Assisi ha assunto il ruolo di «catalizzatore» di quel vasto mondo che si batte per la pace e i diritti umani.

Un’idea un po’ folle – 24 chilometri, solo a pensarci mette paura – e che invece sin dalla prima edizione fu un successo. Gli ingredienti, allora come oggi, sono sempre gli stessi: la testimonianza dello strumento della non violenza, la determinazione a creare un’occasione politica che sia di «aggiunta» – come diceva Capitini – alla vita e alla voce dei partiti.
Quella «aggiunta» fatta di cattolici e comunisti, movimenti, associazioni, scout, persone di religioni diverse che – vale la pena sottolinearlo – si incontrano con una consapevolezza: pace e giustizia sociale sono due elementi inscindibili. Lo dimostrano gli stessi «protagonisti» della manifestazione. Ovviamente i giovani, che sono sempre stati il sale della Marcia, e che quest’anno si sono incontrati in 4 mila a Bastia Umbra. E poi il lavoro, centrale oggi più che mai nell’Europa della crisi economica, che sarà  «rappresentato» dalla voce di due lavoratrici dell’Eutelia. E, ancora, lo sguardo verso il mondo. Non potevano mancare le testimonianze dalle «primavere arabe». La trama dei «lavoratori della pace» è riuscita a far arrivare anche una ragazza siriana. In Siria si sta consumando una repressione feroce contro i contestatori del regime, e anche in questo caso il mondo pacifista sembra incapace di reagire con una posizione forte e autorevole. Emblematico il caso della Libia, dove dopo la repressione di Gheddafi sono cadute le bombe a «liberare» – si fa per dire – gli oppositori. «Abbiamo sbagliato strada – dice Flavio Lotti, della Tavola della Pace – e prima la cambiamo meglio è». Già  è partita una lettera ai segretari di partito per chiedere un incontro, nel quale presentare le conclusioni del meeting, e discutere alcune questioni, prima tra tutte le spese militari. Ma in Umbria in questi giorni sono arrivati anche israeliani e palestinesi, afghani, iracheni, donne africane. E, a proposito dell’Africa, non mancherà  il richiamo alla grave carestia che sta affliggendo i paesi del Corno d’Africa. E ancora: la tragedia dell’immigrazione, con le 1.500 maschere bianche portate da Amnesty International, i parenti delle vittime della mafia, che sfileranno insieme a Libera, e i detenuti del carcere di Marassi.
Alla partenza tre «momenti simbolici»: un trattore, sovrastato da un mappamondo, in ricordo di quello acquistato da Alcide Cervi – uno dei sette fratelli trucidato dai nazi-fascisti – per lavorare la terra riscattata, e a cui lui stesso appese un mappamondo. Oggi il trattore vuole rappresentare l’idea di una agricoltura libera, in grado di dare lavoro e sfamare la gente. Poi ci sarà  un barcone in ricordo delle vittime dell’immigrazione. Infine, i ragazzi del ’61 consegneranno ai ragazzi di oggi la bandiera della pace che fu cucita per la prima Marcia.

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SPESE MILITARI
Reti e movimenti: «No ai caccia F-35»

 Parteciperanno alla Marcia anche tutte le organizzazioni che da tempo chiedono al governo di non acquistare i caccia F-35 JSF, a partire da un primo appello lanciato dalla Rete Disarmo e dalla Campagna Sbilanciamoci. Mentre il governo, con le due manovre estive, prende decisioni che porteranno gravi conseguenze sui cittadini, nulla viene detto sulle spese militari che non vengono toccate e sui progetti faraonici di armamento che non sono neppure in grado di dare benefici economici e di occupazione. «Le nostre alternative di spesa sono chiare – sostiene Giulio Marcon, portavoce della Campagna Sbilanciamoci – Con i 15 miliardi risparmiati da una cancellazione degli F-35 JSF si potrebbero costruire duemila nuovi asilo nido pubblici, mettere in sicurezza le oltre diecimila scuole pubbliche che non rispettano la legge 626 e si potrebbe anche garantire un’indennità  di disoccupazione di 700 euro per sei mesi ai lavoratori parasubordinati che perdono il posto di lavoro». Secondo Massimo Paolicelli, «l’Italia spende per le Forze Armate oltre 24 miliardi di euro l’anno, che per 6 miliardi riguardano sistemi d’arma spesso costosi e inutili». www.disarmo.org


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