2050. Quando un uomo su quattro sarà  nato nel Continente Nero

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PARIGI. Nascerà  forse dentro a una capanna di fango, su un letto di paglia, protetto da bue e asinello, come in un presepe delle origini che annuncia il nostro futuro. Il bambino o la bambina che ci farà  superare la soglia dei 7 miliardi di esseri umani sulla Terra abiterà  probabilmente in un remoto villaggio dell’Africa, ormai l’unico continente che non accenna a rallentare la corsa demografica, dove le donne sono ancora costrette a scommettere sull’avvenire, nonostante le guerre, la povertà , le epidemie, o anzi proprio per questo. Ancora poche settimane e toccheremo la fatidica quota. Entro ottobre, con un anticipo di qualche mese, verrà  battezzato “Baby 7”.
Sarebbe dovuto arrivare all’inizio del 2012 ma l’incontenibile dinamismo africano ha costretto l’Ined, l’istituto nazionale di studi demografici francese, a cambiare le previsioni nel suo nuovo rapporto. Dall’Ottocento a oggi la popolazione del continente nero si è moltiplicata otto volte, attualmente è stimata intorno a 1,05 miliardi. E a metà  di questo secolo diventerà  una potenza globale, almeno nei numeri: nel 2050 una persona su quattro, infatti, nascerà  in Africa, uno su tre alla fine del secolo. La Nigeria da sola avrà  una popolazione superiore a quella degli Stati Uniti.
Un mondo nuovo. Gli occidentali abituati a regnare per secoli sul resto del pianeta dovranno abituarsi a essere solo una minoranza, meno numerosi e più vecchi, davanti a generazioni di giovani del Sud pronti a diventare la maggioranza del pianeta. Persino gli asiatici sono ormai insidiati dalla disperata vitalità  dell’Africa. «In Cina – racconta Gilles Pison, direttore di ricerca all’Ined e autore di un Atlas de la population mondiale pubblicato in Francia – la fecondità  è diminuita più rapidamente di quanto avessimo previsto. Nell’Africa subsahariana, al contrario, l’atteso calo non si è mai verificato». Nel continente si deve ancora compiere la transizione demografica che ha conosciuto l’Occidente negli ultimi due secoli, cominciata in Asia quarant’anni fa: il combinato disposto tra abbassamento dei tassi di fecondità  e mortalità . I progressi in questi due sensi sono pochi. La speranza di vita è di soli 56 anni per gli uomini e 59 anni per le donne. La mortalità  infantile è di 74 bambini ogni 1000 nascite, rispetto a sei in Europa e America. Il 18% degli africani tra i 15 e i 49 anni (4,9 milioni di persone) è sieropositivo. D’altra parte, però, le africane continuano a fare in media 4,8 figli, un dato che si registrava in Europa nel 1950, mentre la media mondiale è oggi scesa a 2,5 figli. In paesi come la Somalia e il Niger, la media sale addirittura fino a sei e sette figli.
Di questo passo, nel 2050 la popolazione dell’Africa sarà  di nuovo quadruplicata, 3,6 miliardi di persone su un totale mondiale stimato a 10 miliardi. La Nigeria, con 433 milioni di abitanti, diventerà  il terzo Paese più popoloso al mondo, dopo la Cina (1,69 miliardi) e l’India (1,3 miliardi), ma davanti all’America (423 milioni). Gli altri Paesi in crescita saranno l’Etiopia (174 milioni), la Repubblica democratica del Congo (149 milioni) e la Tanzania (138 milioni). Il gigante del mondo arabo sarà  l’Egitto, passando dagli attuali 82,6 milioni a 123 milioni del 2050. Da noi, invece, il baby boom è definitivamente archiviato, anche se la media europea è leggermente risalita negli ultimi anni da 1,5 a 1,6 figli, e Paesi come Gran Bretagna, Spagna o Grecia hanno avuto un aumento delle nascite. Non vale ovviamente per l’Italia che con il suo 1,3 figli per donna è all’estremo opposto della Francia (2,07). Senza sufficienti flussi migratori, il nostro paese potrebbe perdere 17 milioni di italiani entro il 2050, subendo una trasformazione che nemmeno le epidemie medievali o le peggiori catastrofi naturali erano mai riuscite a provocare. Anche la Germania, il paese più popolato d’Europa, ha iniziato il suo declino demografico e sarà  presto superato da Francia e Gran Bretagna.
L’altro sorpasso simbolico che gli studiosi aspettano è quello dell’età , la cosiddetta inversione della “piramide demografica”. Dopo la seconda guerra mondiale nei Paesi sviluppati la popolazione con meno di 15 anni superava gli ultrasessantenni di 16 punti percentuali. Entro il 2019, ha calcolato l’Ined, la curva dei bambini sotto i cinque anni scenderà  sotto a quella dei senior. Prima del 2050 ci sarà  anche il sorpasso sugli adolescenti. Ogni mese, 870mila persone compiono 65 anni, entrando così nella terza età  e con la ragionevole speranza di arrivare a varcare anche la quarta. Nel 2040 la proporzione degli over65 raddoppierà  dal 7 al 14%. Il dato più spettacolare è quello degli ultraottantenni, che cresceranno del 233% nei prossimi trent’anni. Nello stesso periodo, i giovani con meno di 15 anni aumenteranno soltanto del 6%. In Italia, il sorpasso è già  avvenuto: abbiamo il 15% di ragazzi sotto i 15 anni, rispetto al 20% di senior sopra i 65 anni. È l’effetto della diminuzione della fecondità  e dell’innalzamento della speranza di vita, il punto finale della transizione cominciata alla fine del Novecento quando le donne hanno incominciato a fare meno bambini prima in Occidente e ora anche in nazioni un tempo prolifiche come Cina, India o in alcune parti del Sudamerica. «Quasi ovunque – osserva Pison – la fecondità  è in lenta diminuzione e l’invecchiamento demografico procede invece molto in fretta. L’unica eccezione a questa regola rimane l’Africa».
Una fuga in avanti dalla conseguenze ancora imprevedibili. «Non bisogna drammatizzare – sottolinea il demografo francese – abbiamo ancora molto spazio sulla Terra e se staremo attenti ci saranno anche risorse sufficienti per tutti». Il tetto dei 6 miliardi di abitanti era stato superato nel 1999 con il “Millenium Baby”. Ci sono voluti altri 12 anni per arrivare a 7 miliardi ma ce ne vorranno altri 14 per toccare quota 8 miliardi. Lentamente, però, la popolazione mondiale dovrebbe stabilizzarsi tra 9 e 10 miliardi in questo secolo. Poi, forse, potrebbe incominciare a regredire. Tra il 1965 e il 1970, l’umanità  è infatti aumentata al ritmo del 2% l’anno. Già  oggi siamo già  scesi all’1,33% e nel 2050 la crescita demografica mondiale si fermerà  allo 0,3%, punto dal quale potrebbe passare in negativo. Ogni ipotesi è possibile. Negli anni Ottanta alcuni studiosi avevano annunciato, con molto allarme, 15 miliardi di abitanti sulla Terra nel 2050, salvo poi dover ammettere di essersi sbagliati. La demografia non è una scienza esatta, gli uomini e le donne non sono macchine, i progressi della scienza non sono facilmente quantificabili.
Eppure gran parte degli studiosi assicura che la “Population Bomb”, la bomba demografica vaticinata negli anni Sessanta dallo studioso Paul Ehrlich, non è ancora pronta a esplodere. «L’umanità  è passata da un a sette miliardi in due secoli, ma il numero di persone che muoiono di fame non è mai stato così basso» spiega ancora Pison. «Al livello ecologico, non bisogna considerare la crescita della popolazione come l’unica minaccia. Piuttosto – continua il demografo francese – il vero pericolo è lo sfruttamento sempre più intensivo delle nostre risorse». Si potrà  vivere in nove o dieci miliardi sulla Terra, magari un po’ più stretti, conclude lo studioso dell’Ined. Ma i “nuovi arrivati” dovranno rinunciare allo stile di vita di americani ed europei. E anche il vecchio Nord dovrà  cambiare i suoi orizzonti.


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