Usa, la lobby degli Ogm
Già all’inizio dell’anno l’organizzazione si era mossa, carte alla mano, per denunciare l’avvio di colture transgeniche nei cosiddetti ‘rifugi naturalistici’ del Nord-Est, aree sottoposte a vincoli paesaggistici e amministrate dal Fish and Wildlife Service, l’agenzia pubblica per la tutela dell’ambiente. Oggi, secondo la denuncia, l’amministrazione Obama starebbe lavorando gomito a gomito con la lobby delle biotecnologie per bloccare ogni eventuale futura azione legale contro i raccolti Ogm.
In una mail ottenuta dal Peer, nel gennaio 2011 la lobbista del bio-tech, Adrianne Massey, contattò Peter Schmeissner, analista dell’ufficio Scienze e Tecnologia della Casa Bianca, in merito alla questione della causa legale del Peer. La Massey ha costruito parte della sua carriera promuovendo la causa della Bio, che sotto l’ingannevole nome cela la dicitura ‘Biotechnology Industry Organisation’. Quest’ultima è stata fondata, tra le altre, dalla Monsanto.
Schmeisser avrebbe informato l’Agricultural Biotechnology working group della Casa Bianca, nuova potente agenzia che raggruppa funzionari di alto livello da ogni agenzia Usa legata all’agricoltura e all’ambiente, chiedendo loro come affrontare la questione. Le colture transgeniche in habitat naturali sono consentite sulla base di una tecnica chiamata ‘enviromental assessment’, valutazione (o rilevazione) ambientale. Si fa passare l’idea che coltivazioni Ogm hanno la caratteristica di ripristinare habitat in pericolo, cosa che i raccolti tradizionali non farebbero. Ad esempio, fornire un manto verde di soya e mais resistente agli erbicidi, che usati successivamente eliminano la vegetazione indesiderata. E’ una tecnica sperimentale, attuata appunto in terre ‘vergini’. Il direttore del Peer si chiede se questa sia una pratica di gestione territoriale adeguata o semplicemente un esperimento ecologicamente pericoloso. “La Casa Bianca – dice Ruch – si è impegnata in uno sforzo congiunto con la Monsanto per raddoppiare l’export di Ogm. Lo fa attraverso la tecnica dell”enviromental assessment’, ovvero spacciando per ‘ambientalmente corrette’ tecniche sperimentali di ripristino di aree in pericolo. Ma queste aree sono in pericolo perché è la mano umana a metterle in pericolo, non per la loro natura”.
L’immagine di raccolti Ogm in aree intatte, pittoresche e naturalisticamente incontaminate serve – secondo Ruch – a lavare l’immagine negativa che gli Ogm hanno in Europa. ‘Greenwashing’ si chiama. L’amministrazione Obama utilizzerebbe questa tecnica per spingere le esportazioni di soia e mais, che per il 90 percento negli Stati Uniti sono geneticamente modificate. La Fish and Wildlife agency non ha mai acconsentito alle coltivazioni Ogm in aree protette, se non per scopi eccezionali. Le mail a cui ha avuto accesso il Peer dimostrerebbero che il segretario di Stato all’Agricoltura, Tom Vilsack, avrebbe fatto pressioni sull’agenzia per allinearsi alla politica dell’amministrazione in fatto di Ogm. In pratica, di farsi da parte.
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