Un’autostrada tra le praterie l’ultima battaglia degli indiani

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NEW YORK – Se avete intenzione di venire in vacanza a New York preparatevi all’ultimo brivido che la città  che non dorme mai è pronta a regalarvi: la guerra tra indiani e cowboy. Basterà  farvi un giro, un lungo giro per la verità , fuori dalla metropoli, e avventurarvi lungo la Thruway che vi porterà  nel cuore del territorio dello Stato, dove ai grattacieli si sostituiranno le colline e alle larghe avenue le distese delle praterie. E lì, quando l’autostrada a quattro corsie punterà  verso il Lago Erie, ripiomberete ai tempi del vecchio west.
Tranquilli: gli ultimi discendenti dei gloriosi Seneca non imbracciano più archi e fucili. Ma non hanno nessuna intenzione di tradire la promessa strappata dai loro antenati al Grande Viso Pallido George Washington: quella che nel trattato di Canandaigua, 1794, garantiva alla tribù della famiglia Iroquis «libero uso e godimento» delle loro terre per l’eternità . Ecco perché potrebbero fermare all’alt la vostra auto: chiedendovi, gentilmente, di pagare il dovuto e improvvisato pedaggio.
«Dovremmo costruire dei caselli» dice infuriato Jordan Williams al New York Times. «Se loro continuano a comportarsi così, cos’altro ci resta se non cominciare a tassarli?». Loro, beninteso, sono i visi pallidi: quelli con cui la Nazione Seneca ha dissotterrato l’ascia di guerra proprio per colpa di quella benedetta autostrada. La storia è semplice. Lo Stato di New York costruisce quella storica “highway” 57 anni fa strappando ai Seneca il diritto di passaggio per soli 75mila dollari. Che la tribù di oggi considera poco più che perline. Ci hanno fregati, quel passaggio vale almeno 80 milioni, ribattono adesso: dopo aver messo in fila, naturalmente indiana, tutte le auto passate dal 2007 a oggi, e calcolando un dollaro per ciascuna.
La questione sta diventando un grattacapo mica da ridere per il governatore Mario Cuomo, che pure nell’amministrazione di Bill Clinton aveva proprio la delega ai nativi, e mantiene amicizie altolocate dai Sioux ai Tlingit dell’Alaska, che gli hanno regalato perfino un nome tribale. Ma questa volta il campione del compromesso, il democratico che è riuscito a trovare l’accordo con i repubblicani perfino sui matrimoni gay, ha trovato un osso davvero duro. Perché Robert Odawi Porter, avvocato laureato ad Harward, non è il capotribù che t’aspetti: «Tre secoli fa litigavamo sulle pelli di castoro, ma sempre dello stesso principio si tratta: lo Stato di New York non ha nessuna autorità  sulla nostra nazione». Il presidente dei Seneca ricorre alla storia ma il cartello sull’autostrada all’altezza di Irving è più diretto: «Avete appena lasciato lo Stato di New York» mette in guardia «e siete soggetti alle leggi e alla giurisdizione della nazione dei Seneca».
Come finirà ? La battaglia dell’autostrada è solo l’ultima nella guerra tra New York e i suoi nativi. Sono anni che i Seneca non versano le tasse per la vendita delle sigarette: 288 milioni di dollari inevasi. E quando una legge ha intimato alla tribù di non vendere più le Marlboro e gli altri marchi, quelli hanno continuato smerciando le Seneca Chill, le Seneca Full Box, le Seneca Light: tutte fatte in case ed esentasse. I benzinai di mezzo stato sono insorti perché, nel territorio, anche sulla benzina non pagano le tasse. E a insorgere invece adesso sono i nativi, perché è lo Stato a fargli concorrenza: pur di fare cassa, Cuomo sta pensando di aprire casinò anche fuori dal tradizionale territorio della riserva.
Altro che calumet della pace. Sul piede di guerra, gli 8mila ultimi Seneca hanno deciso adesso di appellarsi Grande Viso, per la verità  oggi un po’ meno Pallido, che siede a Washington. Barack Obama ha già  chiuso con i nativi di tutti gli States la battaglia sulle terre che risaliva al 1887: un mega-accordo da 3 miliardi e 400 milioni di dollari. Riuscirà  adesso a siglare la pace di New York? «Stiamo valutando la richiesta»: è la risposta, prudentissima, che arriva da quella Casa che mica per niente chiamano ancora Bianca.


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