Una componente della protesta: «Qui la democrazia non passa per la Nato»

by Sergio Segio | 30 Agosto 2011 6:30

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 DAMASCO.Continuano gli sviluppi della crisi in Siria, guardando alla Libia. Forti dell’esempio libico, l’opposizione siriana, divisa tra gruppi secolari ed islamisti, tra chi si trova in Siria e la diaspora, dopo ulteriori due settimane ha annunciato ieri ad Ankara la formazione di un Consiglio nazionale transitorio composto da 94 membri, di cui 42 in Siria. Il presidente è Burhan Ghalioun, professore di scienze politiche a Parigi. Presenti tutti i nomi degli attivisti e dissidenti conosciuti, alcuni dei quail in clandestinità  o in prigione. Dopo il successo dei ribelli in Libia grazie alla Nato, si è diffusa tra una parte dei manifestanti siriani – dopo quasi sei mesi di proteste che sono costate oltre 2.000 vittime e migliaia di persone arrestate-, la tentazione di imbracciare le armi e di chiedere l’intervento internazionale. Tanto che il Comitato dei coordinamenti locali (Lcc), una delle piattaforme della protesta, ha dichiarato che, pur comprendendo le ragioni di tali richieste, «le ritiene inaccettabili: politicamente, dal punto di vista nazionale ed eticamente».

Il Comitato chiede ai manifestanti di essere pazienti e di mantenere le proteste pacifiche, per imboccare la strada della democrazia e salvare l’unità  e l’integrità  nazionale. In Siria continuano quotidianamente le manifestazioni – la sera, dopo le preghiere del taraweeh all’uscita delle moschee – che continuano ad incontrare la violenza delle forze dell’ordine e delle milizie pro-governative. Ogni giorno si contano vittime, 2 ieri a Sarameen (Idlib). L’esercito ha circondato Rastan, villaggio vicino Homs, dopo la notizia della defezione di 12 soldati. Mercoledì mentre attraversavamo Rastan in macchina abbiamo contato almeno 4 carri armati appostati all’interno del villaggio. Nel percorso dell’autostrada tra Homs ad Hama, cittadine epicentro delle proteste, abbiamo visto in quattro punti – in cima a una collina e tra gli alberi – carri armati e soldati.
Al posto di blocco all’entrata di Hama abbiamo dichiarato di essere stranieri in visita per qualche ora alla città  e i soldati ci hanno lasciato entrare, assicurando che la «Hama ora è sicura». Nel centro della città  non c’erano mezzi pesanti ma numerose squadre di forze di sicurezza e shabbiha (milizie pro-governative) munite di bastoni e appostate agli angoli della Piazza dell’Oronte, dove si sono tenute le manifestazioni con centinaia di migliaia di persone. I negozi erano aperti e la vita in città  apparentemente normale.
Sull’asfalto delle strade erano visibili i segni dei mezzi pesanti. Visitiamo l’atelier di Ahmad, il pittore conosciuto cinque mesi fa, quando la protesta non aveva ancora raggiunto Hama. Il suo quadro migliore, la «Guernica di Hama», ispirato al massacro dell’82, è ancora lì, in mostra. «Le manifestazioni sono state incredibili – dice Ahmad – Dopo, io sono venuto a lavorare anche con i carri armati in mezzo alla città ». Si capisce che, come molti, avrebbe voglia di parlare, ma ci accorgiamo che un agente di sicurezza ci segue ed è meglio uscire presto dalla città . Abbiamo visto carri armati e posti di blocco militari anche dentro Deir Az Zoor, dove siamo passati domenica diretti verso il nord-est del paese.
Per arrivare da Damasco ad Haseka – oltre 600 km – abbiamo incontrato undici posti di blocco. Proseguono i movimenti anche sul fronte diplomatico: la Lega araba propone una propria iniziativa per la Siria che includa elezioni presidenziali, che il governo siriano ha rifiutato, e invierà  il proprio segretario Nabil Al Arabi in visita a Damasco, mentre la Turchia dichiara di aver perso fiducia nella Siria.

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