Un subprime in salsa lusitana
LISBONA.L’ipotesi che dietro l’intervento della troika in Portogallo ci fosse qualche cosa di poco chiaro era già stata avanzata dal Financial Times che, all’indomani della firma del memorandum con il governo portoghese il 4 maggio scorso, aveva posto la questione: perché 12 miliardi di rifinanziamento per le banche quando in realtà ne potrebbero bastare 4 o 5? E poi perché le banche dovrebbero alzare il rapporto tra capitale e soldi imprestati dall’8 al 10%? Oltretutto gli stress test fatti per controllare la solidità delle banche, i cui risultati sono stati divulgati appena un paio di settimane fa, hanno dato esito positivo, tutto a posto. Tutto a posto davvero? Ahimé per capire occorre avere pazienza e aspettare.
Le notizie di questi giorni confermano i dubbi del Financial Times e smentiscono i risultati degli stress test: dei 78 miliardi messi a disposizione dall’Europa e dall’Fmi, 12 andranno direttamente alle banche, e questo lo si sapeva fin dall’inizio.Quello che ancora non si sapeva è che altri 35 serviranno allo stato per garantire i crediti emessi dalle banche. Ma non basta. Dato il quadro particolarmente desolante, Vitor Gaspar, il super ministro delle finanze arrivato direttamente da Bruxelles, annuncia una finanziaria bis per raggranellare altri soldi da convogliare sul sistema bancario: si presume che il taglio sulla spesa primaria sarà del 10%. E ancora non è tutto, perché probabilmente questa montagna di soldi, in grande parte ricavata da una sapiente spremitura dei cittadini, fatta di tagli chirurgici come chirurgiche sono le guerre umanitarie, non sarà sufficiente a fare fronte a un buco che si annuncia colossale.
Per fare luce su tutta la situazione, la troika ha annunciato che a partire da settembre i suoi tecnici verranno sguinzagliati per le banche a controllare nei minimi dettagli la solidità dei bilanci. I banchieri, terrorizzati, tuonano contro il «fondamentalismo» dell’Fmi. A essere messe sotto la lente della troika sono le garanzie, molto dubbie, chieste dalle banche ai propri debitori. Insomma quello che si annuncia alle porte è un vero e proprio subprime in salsa lusitana. Si parla di 3000 famiglie che lo scorso anno hanno dovuto abbandonare le proprie case perché non sono riuscite a pagare le rate del mutuo, figuriamoci adesso che a causa degli aumenti dei tassi di interesse, tagli sui salari e crollo dei valori immobiliari grande parte delle garanzie potrebbero rivelarsi essere solamente carta straccia.
Detto senza troppi giri di parole il sospetto è che tutto, o parte, del sistema bancario portoghese sia fallito. Una analisi che troverebbe riscontro anche nei giudizi sulle azioni della banche portoghesi emesse dalle agenzie di rating: junk, pattumiera. Come fare allora? Le opzioni sul tavolo, scrive il direttore del Jornal de Negocios, Pedro Santos Guerreiro, sono sostanzialmente due: nazionalizzazione o ricapitalizzazione. Chiaro, i banchieri preferirebbero che lo stato ci mettesse i soldi ma non il becco, il paradosso, continua Guerreiro, è che i liberisti sono tra coloro che propendono per una nazionalizzazione temporanea di parte del sistema bancario, l’establishment bancario invece preferirebbe mantenere controllo e potere sulle banche privatizzate da appena poco più di un decennio. Così quella che si sta combattendo in Portogallo assume i caratteri di una vera e propria guerra di potere che coinvolge fin nelle fondamenta gli equilibri che si sono venuti a creare a partire dagli anni Ottanta.
Legata a doppio filo alla questione del sistema bancario c’è la questione delle privatizzazioni, perché se le banche non hanno capitali il rischio è che il controllo su tutti i «gioielli» di famiglia possa finire oltre confine. Così il problema bancario prende una dimensione ancora più drammatica mettendo in subbuglio tutto il mondo capitalistico portoghese che non vede di buon occhio l’entrata in massa di stranieri. Il Publico, uno dei principali quotidiani del paese, sostiene che il governo di Passos Coelho progetti di vendere il 20% della Edp (Energias de Portugal), e quindi il suo controllo, al colosso della elettricità tedesco Rwe (controllato per il 16% dallo stato federale del Nord Reno-Westfalia e per il 5% dal ministero del tesoro tedesco). In lizza per l’appetitoso boccone – l’Edp è la seconda impresa per capitalizzazione in Portogallo – ci sarebbero anche China Power e la brasiliana Eletrobras. Una cosa è certa: questo processo di privatizzazioni è tutto fuorché una mera questione interna. Uno dei centri delle trattative sarebbe, sempre secondo il Publico, nientemeno che Londra, la capitale della finanza internazionale.
Con l’eccezione della Germania, l’occidente sta affondando in una marea di debiti e gli unici ad avere capitali da investire sono le vecchie colonie dell’impero lusitano e la Cina. Brasile e Angola scaldano i motori e già si pregustano l’acquisto a prezzo di saldo di gran parte delle principali società messe sul mercato. Tutta questa storia rischia di concludersi con un paradosso: se il colonialismo è stato caratterizzato da una occupazione diretta delle terre di Africa, Asia e Americhe, il neocolonialismo ha assunto invece una forma di occupazione economica e di controllo eterodiretto delle leadership locali. Oggi nasce una sorta di neo-neocolonialismo: le ex-colonie che colonizzano l’ex-potenza colonizzatrice.
Non lo si dice ancora del tutto esplicitamente, ma molto probabilmente ciò che si vorrebbe fare a Lisbona è costituire una grande banca, promossa dallo stato e pagata, loro malgrado, dalle tasche dei cittadini, che sia in grado di finanziare in tutto o in parte il processo di privatizzazioni e limitare almeno in parte la conquista straniera.
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