Un potere con la faccia feroce (che ha perso ogni legittimità )

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Un massacro sistematico che per la seconda volta in trent’anni ha avuto come teatro la quarta città  del Paese, l’eroica Hama. Ieri, mentre una pioggia di cannonate, al ritmo di quattro al minuto, falcidiava la folla riunita per manifestare, si è avuta la netta impressione che il regime intendesse soffocare nel sangue, a qualsiasi prezzo, prima dell’inizio del Ramadan, il focolaio della rivolta più simbolico e pericoloso: appunto, Hama. E non stupisce che, superando le convenienze del linguaggio diplomatico, il portavoce dell’ambasciata americana a Damasco J. J. Harder abbia denunciato «l’atto disperato» di un governo «che pensa di poter prolungare la propria esistenza facendo la guerra ai suoi stessi concittadini» . «Atto disperato» del vertice politico-militare perché i leader della protesta, cominciata in primavera e già  costata oltre 1.500 morti, avevano promesso, anzi giurato che «durante il Ramadan ogni giorno sarà  venerdì» .
E il venerdì richiama l’appuntamento settimanale con la rivolta popolare per chiedere riforme immediate ma soprattutto la caduta di un regime, che giorno dopo giorno sta perdendo legittimità . Aver deciso di punire con una nuova strage la città  di Hama, sicuramente diventata uno dei centri nevralgici della ribellione, non è un errore ma un calcolato piano di annientamento della resistenza più audace e determinata. Tutti sanno quel che è accaduto nel 1982 nella città , dove più forti erano i fermenti degli oltranzisti sunniti contro il regime del presidente Hafez el Assad, padre di Bashar. I sunniti rappresentano la stragrande maggioranza della popolazione siriana, e i loro estremisti evidentemente puntavano a indebolire il regime alauita, cioè la minoranza laica che guida il Paese. Ci furono violente manifestazioni, attentati, e Hafez el Assad decise di soffocare nel sangue quella rivolta. Mandò le forze speciali di suo fratello Rifaat con il compito di radere al suolo il centro e alcuni quartieri di Hama. Per poi ricostruirla, nascondendo nelle colate di cemento 15 mila o forse 20 mila cadaveri.
Di quello scempio si parlò ma non quanto si sarebbe dovuto: allora non esistevano tv satellitari, Internet, social network, telefonini cellulari e la censura siriana era quasi insuperabile. I servizi segreti controllavano tutto e tutti. E poi il mondo, a quel tempo, si poneva altre domande. L’Iran era stato sconvolto dalla rivoluzione khomeinista ed era in guerra con l’Iraq. L’integralismo islamico, soprattutto in Libano, stava diventando un problema internazionale. Osservatori e cancellerie, quando si occupavano di Siria, seguivano la dottrina di Henry Kissinger, il quale ammirava Hafez el Assad (e non era l’unico), e sosteneva che «la pace non si può fare senza Damasco» . Per decenni la strage di Hama è stata nascosta nei sottoscala della memoria collettiva. Oggi torna con prepotenza a ricordarci come i piani di annientamento si possano sempre riprodurre.
Certo, nell’ 82 non esistevano «primavere arabe» e nessuno minacciava seriamente regimi che sembravano intoccabili e immutabili. Oggi l’erede di Hafez el Assad, il figlio Bashar, che voleva dare di sé un’immagine da convinto riformatore, ripercorre — seppur con minore intensità  â€” il percorso del padre, e va a colpire alla cieca gli abitanti di Hama, riuniti per manifestare. Non solo. Nella città  â€” martire per la seconda volta — si manifesta un altro accostamento con la tragedia del 1982. Allora fu il fratello di Hafez, Rifaat Assad, a compiere il massacro, adesso è il fratello di Bashar, Maher, con la sua quarta divisione composta da professionisti dell’ «élite» militare, a sparare sulla folla.
È la dimostrazione che il regime alauita ha bisogno di tutta la possibile coesione, pronto a ricorrere a qualsiasi brutalità  per sopravvivere e tentare di mantenere il potere. Ecco perché quello che inizia oggi è un Ramadan diverso. Mese di digiuno, di preghiera, ma anche di paura. Stavolta— la Siria ne è l’esempio— non è la gente ad aver paura ma è il potere a vacillare e a farsi scudo con la ferocia.


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