Treni uniti d’Europa

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L’EUROPA UNITA È UN SOGNO CHE – malgrado speculazione e bufera sui mercati – viaggia ancora (almeno su rotaia) ad alta velocità . Le fibrillazioni dell’euro e la crisi politica a Bruxelles, infatti, non hanno fermato la corsa senza freni dei treni super-veloci. Ci sono sacche di resistenza come la Val di Susa. Paesi come il Portogallo che hanno messo in freezer i loro progetti a causa dell’austerity economica. Ma l’unione ferroviaria marcia ancora spedita: oggi siamo a quota 6mila chilometri di binari che corrono dal sud della Spagna a Londra, dalle coste dell’Atlantico fino a Vienna e Berlino. Una ragnatela fitta e ormai quasi tutta interconnessa che ha drasticamente ridotto i tempi di viaggio su queste tratte, restringendo la mappa del vecchio continente e creando dal nulla nuove figure socio-economiche come i pendolari a lunga distanza. Ma è solo l’inizio. La rete è destinata a triplicare a 21mila chilometri entro il 2030, quando – se tutto andrà  bene – si potrà  viaggiare in carrozza sul filo dei 350 km/h fino a Mosca e l’estremo oriente.
La genesi della riscossa
Si potrà  discutere sui suoi costi. Si dovranno fare passi avanti per rendere più omogenei tra di loro i vari sistemi di trasporto europei. Ma una cosa è certa: i treni ad alta velocità  – su percorsi adatti alle loro caratteristiche – sono stati un successo. E hanno segnato la rinascita di un mezzo (la ferrovia) che pareva destinato al pensionamento dorato nei musei dei trasporti del ’90.
La Francia ha guidato la rivoluzione dell’alta velocità  europea con i Tgv nel 1980, contagiando poi tutto il continente. «Questo treni sono competitivi con l’aereo solo fino alle tre ore di viaggio», diceva una volta la vulgata. Non è più così. Il giro di vite sulla sicurezza ai check-in in aeroporto, le nubi vulcaniche e il supergreggio hanno tagliato le ali agli aerei. «E oggi la rotaia se la gioca fino alle quattro ore di viaggio, ma spesso anche su tratte da cinque ore», assicura Guillaume Pepy, presidente delle Sncf francesi.
La guerra con l’aereo.
I numeri confermano: l’Eurostar ha ridotto a 2 ore e un quarto il viaggio in treno da Londra a Parigi conquistando il 75% di passeggeri su questa tratta mentre i viaggiatori in aereo tra le due città  si sono dimezzati in dieci anni. Oggi però si punta più in alto: la tedesca Deutsche Bahn sta lanciando (partirà  nel 2013) un collegamento tra la City e Francoforte da 3 ore e 50 minuti convinta di poter intercettare il 50% del traffico.
La sfida su queste distanze in effetti, dati alla mano, è senza storia. Il Frecciarossa si è mangiato il 50% della Roma-Milano, una volta la gallina dalle uova d’oro di Alitalia. I collegamenti tra Madrid e Barcellona – che nel 2007 era la tratta aerea più redditizia del mondo con 45mila voli l’anno – sono stati rivoluzionati con l’esordio dell’Ave, il supertreno iberico: i tempi di percorrenza su rotaia sono stati tagliati da sette ore a 2 e 40 e oggi il 50% delle persone in viaggio tra le due città  snobba l’aeroporto per usare la ferrovia. E le tariffe su entrambe le rotte, merito della concorrenza, sono crollate.
Air France ha già  alzato bandiera bianca, arrendendosi all’evidenza: ha eliminato diversi voli regionali cannibalizzati dai Tgv (Lione, Marsiglia, Rennes, Strasburgo) ed è entrata in prima persona sul mercato ferroviario assieme a Veolia. Germania e Gran Bretagna seguono a ruota. «Tra dieci anni tutti i nostri grandi aeroporti saranno collegati con convogli superapidi – promette Heins Runhaw, presidente Lufthansa – e noi cancelleremo molti voli interni». Il governo Cameron invece ha accantonato il progetto di una terza pista a Heathrow rilanciando sui collegamenti ad alta velocità  tra Londra e gli altri scali britannici (Manchester, Birmingham) in un’ottica intermodale e di sistema che in Italia (purtroppo) latita.
Pendolari ad alta velocità .
I supertreni non solo hanno ristretto l’Europa, ma ne hanno pure rivoluzionato la mappa sociale ed economica. Prendiamo Ciudad Real, tranquilla località  della Castiglia la cui vita è stata sconvolta dall’arrivo dell’Ave che ha tagliato da tre ore a una la distanza su rotaia per Madrid. Da allora i suoi abitanti sono aumentati del 15% e un viaggiatore su quattro è diventato pendolare giornaliero con la capitale, dove ha trovato lavoro. Lo stesso è successo in Francia. Le Mans e Tours grazie al Tgv sono oggi a un tiro di schioppo da Parigi. Morale: il numero dei pendolari è aumentato ma soprattutto in moltissimi hanno deciso di andare e tornare in giornata, mentre prima rimanevano nella capitale dal lunedì al venerdì. Un fenomeno simile a quello che si inizia a vedere in Italia sulla Torino-Milano. La Svezia invece ha lanciato i suoi “tilting train” ad alta velocità  collegando in tempi brevissimi i centri della campagna con la capitale. E molti – di fronte alla rapidità  del viaggio in treno – hanno pensionato l’auto lasciandola in garage: sulla Stoccolma-Eskilstuna la percentuale dei pendolari a quattroruote è scesa dal 95% al 55% circa.
A far premio, oltre alla comodità , è anche la consolidata puntualità  dei servizi. La Tokyo-Osaka con lo Shinkansen (515 chilometri in poco più di due ore) ha un ritardo medio – tifoni e terremoti compresi – di 36 secondi. L’Eurostar Londra Parigi arriva in orario (entro 5 minuti da quello previsto) nel 90% dei casi contro il 70% degli aerei tra le due città . E l’Ave spagnola rimborsa i biglietti di convogli con più di cinque minuti di ritardo, evento accaduto solo nello 0,3% dei casi.
Un network mondiale.
Fatta (o quasi) l’Europa ad alta velocità , il nuovo obiettivo è oggi quello di collegare tutto il mondo con i treni superveloci. Un sogno che pare destinato in un futuro non troppo lontano a diventare realtà . Certo tutti sanno che il business lavora in perdita. Solo il Parigi-Lione (in dieci anni) e il Tokyo-Osaka (in dodici) sono riusciti a ripagare il costo dell’infrastruttura mentre il resto dei network europei si accontenta tutt’al più di un utile operativo, con gli incassi da biglietti che coprono le spese di gestione. Ma i supertreni sono il domani, come l’esplorazione spaziale di una volta. E tutti stanno investendo pesantemente nel settore. La Cina ha speso per la sua rete 117 miliardi di dollari solo nel 2010, anche se l’incidente sulla Pechino-Shanghai (e le polemiche sulle tangenti per gli appalti) hanno frenato la corsa dei progetti. Obama ha già  puntato 13 miliardi per rafforzare i collegamenti, oggi pochissimi, negli Usa (il sogno è un Los Angeles-San Francisco in due ore). Obiettivo: ridurre il traffico stradale responsabile secondo la University of Texas di 87 miliardi di perdite l’anno ed eliminare la congestione degli aeroporti visto che il 50% dei voli in partenza e arrivo negli Usa potrebbe essere sostituito dal treno rapido.
Si sta muovendo ad alta velocità  anche la Russia di Vladimir Putin, puntando ad agganciare Mosca e San Pietroburgo sia alla ragnatela di rotaie cinesi che a quella europea. Avvicinando così il sogno di un unico grande servizio dall’Atlantico fino al Pacifico. In Africa (con la supervisione interessata dei cinesi) si sta già  lavorando a una linea tra la Libia e il Ghana, un super-treno destinato ad attraversare pure il Sahara.
Il problema, naturalmente, sono i soldi. Il mondo è in crisi. Il Portogallo ha già  congelato i suoi investimenti per il collegamento veloce a Madrid. Anche la Cina – dopo aver scoperto 200 miliardi di debiti “ad alta velocità ” – ha calmato i suoi bollenti spiriti. La Florida ha rivisto al ribasso le sue ambizioni ferroviarie. Ma è uno stop fisiologico e congiunturale, assicurano gli esperti. Il futuro dell’Europa (e del mondo) – mercati permettendo – è in carrozza.


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