by Sergio Segio | 17 Agosto 2011 7:15
ROMA – Un tesoretto niente male, a cui ricorrere in questi momenti di ristrettezze, l’Italia lo ha. Però, all’estero. Sono i capitali esportati illegalmente, negli anni, in Svizzera, in Lussemburgo, a San Marino, nel Principato di Monaco e in paradisi fiscali assortiti, da chi voleva evadere le tasse. Sono una montagna: di quasi 60 miliardi di euro siamo sicuri perché dichiarati al fisco, ma, secondo stime recentissime, ce ne sono altri 150 miliardi, ancora nascosti oltre confine. Tassarli produrrebbe un gettito rilevante. Per bocca di Pierluigi Bersani, il Pd ha proposto di muoversi in questa direzione e l’idea, nonostante le difficoltà , in particolare giuridiche, che comporta, non ha incontrato un fuoco di sbarramento nella maggioranza. Anche se è difficile immaginare il ministro Tremonti che si rimangia il suo ultimo condono anche se ieri circolava l’ipotesi di una tassa dell’1-2% sui capitali scudati.
I soldi sono stati accumulati, negli anni e nei decenni, oltre confine con metodi largamente noti. Portando fisicamente le banconote. Sovrafatturando le importazioni e sottofatturando le esportazioni, per chi dispone di un’impresa. Con operazioni sofisticate (acquisto trasparente di un’azienda all’estero, che poi fallisce e i soldi cominciano a rimbalzare di azienda in azienda, di paese in paese, fino a scomparire), ma che qualsiasi buon commercialista è in grado di mettere in piedi. Nel 2009, Tremonti propose a questi evasori una sorta di patto: un salvacondotto fiscale, lo “scudo”, in cambio della loro emersione, cioè la dichiarazione ufficiale del possesso di questi capitali, così che potessero essere sottoposti al fisco. All’appello, risposero 97 miliardi di euro in capitali illegali. Per due terzi erano in Svizzera e, secondo la stima della Banca d’Italia, originariamente erano, in larga misura, investiti in azioni, obbligazioni e fondi. Di quella cifra, 39, 4 miliardi di euro furono, in effetti, liquidati e rimpatriati in Italia. Invece, 57,6 miliardi – sia pure, a questo punto, trasparenti e noti al fisco – sono rimasti all’estero.
La distinzione potrebbe essere importante. L’idea di una imposizione straordinaria su questi capitali, infatti, si scontra con la garanzia liberatoria fornita, al momento dell’adesione, dallo scudo. E’ vero, che a questi capitali fu assicurato un trattamento di favore. I soldi sono rimasti anonimi, non sono state applicate sanzioni e le tasse evase negli anni sono state cancellate con il versamento di un 5 per cento. Misure analoghe, prese da altri Stati, hanno comportato un versamento del 30 per cento. Riaprire la pratica, tuttavia, sembra giuridicamente difficile, soprattutto per i 40 miliardi di euro, a suo tempo liquidati e rientrati in Italia. Meno problematico, forse, sottoporre ad una imposizione straordinaria i capitali – 57,6 miliardi – che hanno scelto di rimanere all’estero. Quanto se ne potrebbe ricavare? Un nuovo contributo del 5 per cento porterebbe nelle casse dello Stato 5 miliardi di euro se venisse applicato anche ai capitali rimpatriati. Un po’ meno di 3 miliardi di euro, se riguardasse solo i capitali rimasti all’estero.
Sono cifre importanti, anche per una manovra da 45 miliardi di euro. A meno di non immaginare una sovraimposta permanente sul capitale ex-clandestino, tuttavia, il loro effetto sul deficit svanirebbe – come per il contributo di solidarietà sui redditi oltre i 90 mila euro l’anno – nel momento il cui la tassazione straordinaria decadesse. Diverso sarebbe il risultato, se questa sovraimposta diventasse l’occasione per avviare con decisione un’offensiva destinata a stanare i capitali clandestini, che sono sfuggiti anche allo scudo. Secondo una ricerca pubblicata nelle scorse settimane dalla Banca d’Italia, ci sono ancora fino a 50 miliardi di euro di depositi bancari detenuti clandestinamente all’estero da evasori italiani. A questi vanno aggiunti i soldi investiti in titoli, azioni, obbligazioni, fondi comuni. I ricercatori della Banca d’Italia hanno esaminato quanti di questi titoli, sulla base delle statistiche dei paesi in cui sono stati effettuati gli investimenti, sono probabilmente detenuti da italiani. La stima di questi titoli-fantasma è vicina a 100 miliardi di euro. Sono soldi privi dello “scudo” e, dunque, esposti alla tassazione normale e alle sanzioni. Non sono sepolti in luoghi inaccessibili. Se ha ragione la Banca d’Italia, sono investiti alla luce del sole in titoli trattati nelle Borse. E, anche rispetto alla situazione esistente al momento dello scudo Tremonti, i più recenti accordi internazionali sulla trasparenza finanziaria rendono più facile individuarli.
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