Tasse, pensioni e licenziamenti il piano Tremonti divide il governo

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ROMA – È amarissima la medicina che Giulio Tremonti sta preparando per gli italiani. Diventerà  definitiva nel consiglio dei ministri da tenersi prima della riapertura dei mercati dopo Ferragosto. Probabilmente già  stasera, visto che i ministri sono stati allertati. Manca l’ufficialità  per via della rissa in atto nel governo, dove lo scontro sulle misure è fortissimo e dura fino al vertice nella notte. Nel quale il premier dice di voler confezionare un videomessaggio per spiegare agli italiani la necessità  dei sacrifici. E comunque Tremonti, quando parla a Montecitorio davanti alle commissioni congiunte di Camera e Senato, arriva a ipotizzare, perché «lo chiede l’Europa» mette le mani avanti, il diritto di licenziare i lavoratori e di «ridurre lo stipendio agli statali». Il ministro dell’Economia assicura che fin lì non si arriverà  e scarica la colpa sulla lettera della Bce, firmata dal presidente in uscita Trichet. Già  il solo parlare di simili interventi allarma la gente e i sindacati.
Che comunque non digeriscono il contenuto prossimo della scure di Tremonti per anticipare al 2013 il pareggio di bilancio e tentar di salvare l’economia italiana dalla crisi. Un ulteriore aggravio dei ticket sanitari e mano drastica sulle pensioni di anzianità , col ritorno al famoso “scalone Maroni” che alzerebbe l’età  anagrafica a 63 anni già  nel 2012. Per le donne pensione di vecchiaia a 65. Un «contributo di solidarietà » sui redditi medio-alti, oltre i 90 mila euro annui. Da decidere se in forma di “una tantum” o esteso al 2013. Una tassa sulle seconde case. L’anticipo dell’Imu, nuova imposta prevista dal federalismo, che unifica Ici e tassa rifiuti. Cancellate le festività  non religiose, accorpate alle domeniche. Esclusi i Bot, aumento al 20% della tassazione su tutti gli altri.
È lunga la giornata di Tremonti. Si apre alle 11 a Montecitorio, davanti alle commissioni Affari costituzionali e Bilancio delle due Camere. Presenti i big della politica, Bersani, Casini, Di Pietro, Bocchino. Clima teso. Commenti aggressivi, pure nella maggioranza. Quattro dissidenti di spicco minacciano di non votare il decreto. Bossi lo contesta. Incontra Napolitano, poi Schifani che, come Tremonti aveva chiesto, accelera i lavori. Commissioni riunite dopo Ferragosto, in aula a settembre.
Lui, il ministro, non gioca a fare il simpatico. Tutt’altro. All’opposizione dice: «È difficile dirci “siete fermi, non fate niente”. È esattamente l’opposto. La scelta di anticipare di un anno la manovra, che è tantissimo, è di venerdì sera». Strafottente nella replica: «Non abbiamo chiesto aiuto, ma solo di scambiare le idee. Se poi l’aiuto c’è, è meglio, ma nessuna richiesta». Lo accusano (Bossi) di essere «fumoso», si difende: «È ben difficile, prima di andare da Napolitano e a mercati aperti, essere più precisi di come sono stato io». Teorizza la crisi come accidente mondiale: «Il caso Italia non è un caso nel caso, ma un caso nel caos». Chiede che si cambi la Costituzione all’articolo 81 per inserirci il pareggio di bilancio. Garantisce un taglio ai costi dei politici, «non solo su quanto prendono ma anche su quanti sono». Quando è sera Tremonti, nonostante tutto, parla di «un incontro positivo e costruttivo pur nella dialettica della sede parlamentare». Ma a via del Plebiscito, quando è notte, Pdl e Lega ancora discutono di che fare. E lui è presente.


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