Su licenziamenti e assunzioni deciderà  il contratto aziendale

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TORINO – Anche La Fiom dovrà  accettare gli accordi di Pomigliano e Mirafiori perché così stabilisce la legge. L’articolo 8 del decreto anticrisi è infatti retroattivo: «Mi vengono in mente i casi degli accordi Fiat», dice sornione il ministro Sacconi.
Quello sui contratti di lavoro è uno dei punti più controversi della manovra. Tre commi per spiegare il «sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità ». L’intervento di Sacconi prende al balzo l’occasione del decreto per trasformare in legge l’accordo tra Confindustria e Cgil Cisl e Uil del 28 giugno scorso. E per andare più in là . Perché la “contrattazione collettiva di prossimità ” è nient’altro che la contrattazione aziendale, quella che si vorrebbe sostitutiva dei contratti nazionali, così come da tempo chiede una parte degli imprenditori italiani, Fiat in testa.
Al contratto nazionale, il decreto lascia ben poco. Perché a livello aziendale è possibile intervenire su tutti i punti più rilevanti nei rapporti tra imprese e dipendenti. Oltre all’inquadramento del personale (come già  avviene oggi) e all’orario di lavoro, si può derogare anche sui criteri di assunzione dei precari e su quelle che vengono definite «le conseguenze del recesso dal rapporto», cioè il licenziamento. Un passaggio che fa dire a esponenti del Pd come Damiano e Fassina che in questo modo si attacca l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, quello che impedisce i licenziamenti senza giusta causa.
«Non è vero – ha protestato ieri Sacconi – l’articolo 18 rimane in vigore». Ma nei fatti potrà  essere aggirato se si consegna ai sindacati di fabbrica il potere di contrattare con l’azienda i criteri di licenziamento individuali e di sottoporli successivamente a referendum. Tutto questo potrà  avvenire «ad eccezione – sta scritto nel decreto – dei licenziamenti discriminatori» e, prosegue il testo con un linguaggio da primo Novecento, «per il licenziamento della lavoratrice in concomitanza con il matrimonio». Forse per tentare di equilibrare il provvedimento, il decreto recepisce una proposta dell’opposizione e istituisce il reato di caporalato per chiunque recluti manodopera «mediante violenza, minaccia o intimidazione».
Un altro punto controverso del decreto è quello sugli accordi Fiat. «Una legge ad aziendam», liquida la questione Maurizio Landini che invita la Cgil alla mobilitazione «fino allo sciopero generale contro un decreto che prova a cancellare il contratto nazionale, apre alla libertà  di licenziare violando principi costituzionali».
La mossa di Sacconi apre nell’azienda di Marchionne diversi scenari rendendo ancora più complicato il gioco. Ieri sera al Lingotto i commenti erano piuttosto prudenti. In teoria con il decreto anche la Fiom sarebbe costretta ad accettare gli accordi che ha contestato a Pomigliano e Mirafiori. Il problema è che quegli accordi sono stati firmati prima dell’intesa del 28 giugno tra Cgil, Cisl e Uil e Confindustria. Intesa che impegnava le parti, anche la Cgil, a rispettare intese aziendali che venissero “validate” dalla maggioranza dei lavoratori. Ma non interveniva sul passato come invece il decreto Sacconi. E qui sorge il primo problema: «E’ assai dubbio che abbia valore una legge retroattiva sui diritti individuali dei lavoratori», osserva Giorgio Airaudo della Fiom. Di segno opposto i commenti dei sindacati firmatari degli accordi: «Tra tanti provvedimenti iniqui almeno uno che va nella giusta direzione», commenta Roberto Di Maulo del Fismic.
Non è solo un problema legale. La norma di Sacconi farebbe cadere la principale ragione che ha spinto fino ad oggi la Fiat a minacciare l’uscita da Confindustria. Ma, al tempo stesso, obbligherebbe il Lingotto a tenersi in fabbrica anche i delegati della Fiom che aderiscono alla Cgil. Questo spiega la prudenza di Torino.


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