Sprofonda Piazza Affari peggior calo dal crac Lehman
MILANO – Piazza Affari nel panico. La Borsa ignora i pochi spunti positivi, volta le spalle al successo dell’asta Bot e ritorna indietro ai minimi di oltre due anni fa. Con il calo di ieri, del 6,65%, gli indici sono ridiscesi al 20 marzo 2009, ormai solo ad un’incollatura di distanza da quel terribile picco al ribasso segnato il 9 marzo dello stesso anno.
È stata una giornata da brivido, con le quotazioni che scendevano ininterrottamente con il passare delle ore a partire grosso modo da mezzogiorno e mezzo e poi in modo più deciso a dalle 14.30, tra una raffica di sospensioni e di titoli che si sgretolavano sotto la mannaia delle vendite. Alla fine, il bilancio delle perdite segna il peggior risultato in un solo giorno dopo il crac Lehman: il 6 ottobre del 2008, Piazza Affari perse in una sola seduta l’8,24%, ieri si è fermata quando l’indice Ftse Mib era ormai sceso sotto quota 15 mila punti (14.676 per la precisione). In un solo giorno, la Borsa ha bruciato 22,2 miliardi, conquistandosi la maglia nera nel Vecchio continente.
Il peggioramento degli umori si è rapidamente esteso ai titoli di Stato, nonostante il successo dell’asta dei Bot annuali, nella mattinata, che ha visto il doppio della domanda rispetto ai titoli offerti (6,5 miliardi) e l’altrettanto netta riduzione dei rendimenti, scesi di 0,711 punti rispetto all’asta del 12 luglio scorso e ormai sotto il 3% (2,959%). Ma il differenziale di rendimento tra il Btp e il Bund a fine giornata era tornato di nuovo a 291 punti base, dopo essere sceso in mattinata fino a 279 punti. Il Btp a dieci anni ha chiuso la seduta con un rendimento un soffio superiore al 5%, ma la forchetta con il “cugino” tedesco si è riallargata perché il Bund ha migliorato di molto le posizioni, nonostante sul mercato continui a essere notata la presenza della Bce a sostegno dei bond dei paesi in difficoltà .
Ma è il listino azionario ieri a essere inquietante: Intesa Sanpaolo ha perso quasi il 14%, Unicredit non è riuscita a tenere quota un euro, Fiat ha ceduto un altro 8% e dal 25 luglio ha lasciato per strada il 37%. E ancora, Fonsai ha perso il 9,5% e ormai ha bucato il prezzo di emissione delle nuove azioni in aumento di capitale, mentre Ubi ha perso un po’ più del 10%, Mediolanum l’8%, Buzzi Unicem il 9,5%. Se infatti i titoli finanziari sono nell’occhio del ciclone, anche le società legate alla congiuntura riflettono i timori per l’economia reale. Ieri, solidamente controcorrente, Tod’s ha guadagnato il 2,54%, ma due giorni prima aveva perso l’8%; altrettanto bene è andata Parmalat (più 2,06%) ma ora in Borsa vale 1,584 euro mentre solo un mese fa l’Opa Lactalis era stata a 2,6 euro.
La drammaticità della situazione ha portato la Consob a riunirsi, a prendere contatto con l’Emea – la Consob europea – per valutare iniziative concertate e assicurare un regolare svolgimento delle negoziazioni sulle piazze finanziarie; ovviamente ad accentuare il monitoraggio sugli scambi. Ma in contesti del genere, paracadute semplici da aprire non ne esistono; anche perché ad un primo sguardo le vendite di questi giorni sono “vere”. I dati relativi alle vendite allo scoperto, le posizioni ribassiste della speculazione, secondo la Consob sono infatti confinate in limiti fisiologici: chi vende, insomma, lo fa perché vuole scappare da Piazza Affari.
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