Sovraffollamento. La ricetta delle associazioni
Sono i nove nodi cruciali, gli ingredienti della ricetta individuata da un cartello di associazioni che lavorano nel campo della giustizia per risolvere il problema numero uno delle carceri nostrane, il sovraffollamento. E soprattutto per far tornare l’intero sistema penale italiano in condizioni di legalità . Sono anche i punti cardine sui quali lavorare per un disegno di legge che in autunno le associazioni vorrebbero depositare in Parlamento.
Una volta appurata «l’evidente inefficacia» del Piano di edilizia penitenziaria del commissario straordinario all’emergenza carceri nonché capo del Dap, Franco Ionta, le associazioni A buon diritto, Antigone, Acli, Arci, Beati i costruttori di pace, Fp-Cgil, Forum Droghe, Giuristi democratici, Magistratura democratica, Ristretti orizzonti e Unione delle camere penali si sono fatte promotrici di una «riforma sostanziale del Codice penale». Per le associazioni, devono innanzitutto diminuire le fattispecie di reato. Intervenendo soprattutto su quelle norme altamente criminogene come la legge Fini-Giovanardi nelle cui maglie troppo spesso finiscono i tossicodipendenti e che poca differenza mette tra i piccoli spacciatori e i grandi narcotrafficanti. In sostanza, vanno «ridotte drasticamente le pene per lo spaccio di droghe leggere e riviste una serie di norme che ostacolano il percorso riabilitativo alternativo al carcere». Particolare attenzione va messa poi sulle misure alternative che, spiegano operatori e giuristi, sono «l’unico strumento per evitare il rischio di recidiva» tanto stigmatizzata dalla ex- Cirielli, meglio nota come «legge salva-Previti».
Ma il primo punto da rivedere per combattere il sovraffollamento carcerario, spiegano le organizzazioni del cartello, è l’uso della custodia cautelare. In effetti, un monito a ridurre l’applicazione del provvedimento è arrivato perfino dal commissario dei Diritti umani del Consiglio d’Europa, Thomas Hammarberg, che ha definito «inaccettabile» avere nelle prigioni del continente un 25% di detenuti ancora in attesa di giudizio. Hammarberg, bontà sua, ha evidentemente steso un velo pietoso sulle nostre celle dove addirittura il 43% dei reclusi attende anche solo il primo grado di giudizio.
Il problema, come spiega il magistrato Cascini, sta nelle leggi. E infatti anche due recenti sentenze della nostra Corte costituzionale hanno dichiarato illegittime altrettante norme che obbligano i giudici a imporre la custodia cautelare in carcere.
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