by Sergio Segio | 5 Agosto 2011 8:02
“Un alawita al potere in Siria è come un dari che diventa marajà in India o un ebreo Zar in Russia”. Sulla base di questo presupposto – secondo Daniel Pipes, controverso (ma influente) storico e analista del Medio Oriente, si è fondata la dittatura della famiglia Assad, alawita, al momento della presa del potere con un colpo di Stato nel 1970. Se ricondurre la sanguinosa repressione siriana[1] alla difesa della nazione contro le cospirazioni occidentali può suonare iperbolico, i fatti dimostrano che la propaganda di regime degli Assad sta agendo coerentemente con la sua genealogia tribale, politica e religiosa. La fede è uno degli aspetti meno menzionati nell’esegesi del caso Siria. Eppure, potrebbe essere una chiave di lettura in grado di spiegare molte cose. Perpetuare il potere è inscritto da quarant’anni nel codice genetico degli alawiti, una minoranza che alcuni definiscono sbrigativamente sciita. La stessa oligarchia Assad, dati i legami con l’Iran, è strettamente associata con lo sciismo.
Gli alawiti nascono come una setta mistica il cui dogma e le cui pratiche sono conosciute solo dalle autorità religiose. Alcuni non riconoscono loro nemmeno l’appartenenza alla Umma, la comunità musulmana. Altri non li considerano neppure musulmani, essendo il loro credo il prodotto di un sincretismo che annovera rituali ortodossi, sunniti, sciiti, cristiani. “Credono nella reincarnazione, considerano solo simbolici i pilastri dell’Islam, non digiunano durante il Ramadan né fanno pellegrinaggio alla Mecca”, scrive il linguista John Myhill dell’università di Haifa.
Comunità confessionale perseguitata per secoli in Siria, salirono al potere con il partito Baath negli anni ’60, sbaragliando il secolare dominio di un’elite sunnita. Insediarono i loro fedeli nelle gerarchie militari e negli apparati di sicurezza e si garantirono il braccio armato per resistere alle pressioni religiose e politiche interne. Se oggi la famiglia Assad – nonostante fasulle aperture al multipartitismo e alle riforme – ha scatenato la forza bruta contro la popolazione siriana, è perché solo con la forza bruta può contenere la spinta di queste pressioni.
Una popolazione che chiede riforme, che lotta per la libertà e i diritti, che si confronta con un regime autocratico e anti-democratico: questa è l’ottica con cui viene letta in Occidente la ‘rivoluzione’ siriana. Nella stessa ottica viene paragonata alle recenti primavere arabe. Qualcuno, tuttavia, non è così sbrigativo nel giudicarla solamente così. Il 75 percento dei siriani è costituito da musulmani sunniti, solo il 13 percento sono sciiti, ismaeliti e, appunto, alawiti. I drusi sono il 3 percento, i cristiani il 9 percento. Le minoranze religiose hanno sempre goduto di tolleranza e protezione da parte della famiglia Assad. Non poteva essere altrimenti, per mantenere intatto un mosaico simile, ma oggi alla maggioranza sunnita potrebbe non bastare più. La dinastia Assad è disprezzata anche e soprattutto perché alawita.
Se il regime sta letteralmente massacrando la popolazione[2], è per rimanere al potere. Se il potere non viene ceduto, è perché il proprio futuro e la propria posizione nella Siria di domani rappresentano un’incertezza troppo grande per gli Assad e gli alawiti. E il pericolo che di futuro per gli alawiti non ne esista, nella Siria di domani, è un dato reale. Nonostante ogni tentativo della maggioranza sunnita teso a scongiurare una guerra civile.
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