Siria, i tank sparano ancora “Nuove sanzioni per Assad”

by Sergio Segio | 2 Agosto 2011 6:42

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MAJDAL EL SHAMS (Confine tra Siria e Israele) – Li hanno seppelliti nei giardini pubblici, i morti di Hama, perché erano troppi e perché anche ieri i cannoni di Damasco non hanno smesso di bombardare la città , mirando a casaccio, perfino nelle vicinanze del cimitero e nel quartiere residenziale di Dawar Bilal, solo per terrorizzare la popolazione. «Ogni dieci secondi cade una bomba» ha riferito un testimone alla Reuters.
Così, sordo all’unanime condanna internazionale per l’eccidio di domenica scorsa, che ha provocato 136 morti e più di mille feriti, il presidente siriano Bashar El Assad ha portato avanti la sua sanguinaria offensiva contro gli oppositori del regime. I suoi carri armati hanno ormai occupato tutto il nord del Paese e investito una decina di città , fino al confine con l’Iraq. Sul loro cammino i blindati incontrano sacche di resistenza sempre più numerose, così come sempre più numerosi sono i soldati dell’esercito filogovernativo che disertano. Ma nel primo giorno del Ramadan il bilancio delle vittime è ancora salito: altre sei vittime a Hama nelle ultime 24 ore, due a Deir al-Zour e una ad Abu Kemal.
Stanotte, intanto, come avevano suggerito Italia e Germania, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu si è riunito per discutere della crisi in Siria. Finora ogni tentativo di denunciare la repressione di Damasco al Palazzo di Vetro era stata vanificata dall’opposizione di Russia e Cina, Paesi con diritto di veto. Ma all’indomani della strage di Hama, Mosca ha cambiato posizione e chiesto al regime di Assad, tradizionale alleato, di porre fine «immediatamente all’uso della forza contro i civili».
Al Consiglio di Sicurezza, il responsabile della politica Estera dell’Unione europea, Catherine Ashton, ha chiesto che «assuma una posizione chiara sulla necessità  di mettere fine alla violenza», spiegando che Bruxelles sta varando un nuovo round di sanzioni contro il regime siriano e altri cinque membri dell’entourage del presidente: misure che prevedono il divieto di concessione dei visti e il congelamento dei beni. Amnesty International ha invece invitato i Quindici dell’Onu di imporre un embargo d’armi sulla Siria e di chiedere l’intervento della Corte penale internazionale dell’Aja per possibili crimini contro l’umanità .
Due giorni fa, per voce del suo ministro degli Esteri William Hague, Londra era stata la prima a ipotizzare un intervento militare per fermare la cruenta repressione in Siria. Hague aveva coraggiosamente sostenuto che questa soluzione non rimanesse soltanto «una remota possibilità », precisando che basterebbe il via libera dell’Onu, proprio com’è accaduto con la risoluzione 1973 sulla Libia. Immediata la risposta delle Nato: per il suo segretario generale Anders Fogh Rasmussen, a differenza della Libia in Siria non ci sono le condizioni per un intervento armato dell’Alleanza. «In Libia non solo conduciamo un’operazione su un chiaro mandato delle Nazioni Unite, ma abbiamo anche il sostegno dei Paesi vicini. Queste sono due condizioni che non sussistono in Siria anche se ovviamente condanno le violenze nel Paese», ha detto Rasmussen, il quale avrebbe potuto aggiungere che l’esercito siriano può contare su 400mila uomini, 5000 carri armati, 500 caccia bombardieri e una enorme quantità  di razzi.
Nel frattempo, sul fronte interno è arrivato il macabro elogio del presidente siriano alle sue truppe per aver «sconfitto il nemico». Assad ha poi dichiarato che l’esercito ha dimostrato fedeltà  al popolo e che la Siria presenterà  al mondo «il suo modello di libertà , democrazia e pluralismo politico». Tutto ciò mentre si fa sempre più critica la situazione dei due ospedali principali di Hama. Dice un medico, che chiede l’anonimato per motivi di sicurezza: «L’esercito controlla gli ingressi degli ospedali principali e non permette ai feriti e ai donatori di sangue di entrarvi, e noi abbiamo un enorme bisogno di sangue. Due miei colleghi sono stati arrestati stamane accusati di collaborare con i manifestanti, senza alcun motivo». Intanto, nella città  martire comincia anche a scarseggiare il cibo, perché le forze di sicurezza hanno saccheggiato e distrutto numerosi negozi di generi alimentari. Ma per ora il solo Paese che ha deciso di ritirare il proprio ambasciatore in Siria è stata l’Ucraina.

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