Shabab in fuga, la Somalia spera

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I volti coperti da maschere, i mitra spianati sulle camionette dove hanno caricato anche le famiglie, le milizie degli Shabab hanno lasciato ieri Mogadiscio, dopo quattro anni di guerriglia con il governo per il controllo della capitale somala. Le milizie islamiche si sono ritirate ad almeno cento chilometri dalla città  promettendo di tornare, ma il presidente ad interim somalo, Sharif Sheikh Ahmed, ha parlato di una «Mogadiscio completamente liberata dal nemico» e dell’inizio di una riscossa che si propagherà  «presto anche al resto del Paese». La speranza del governo è anche di avere maggiore accesso agli aiuti internazionali per il Paese stremato dalla carestia. I combattimenti e la chiusura degli Shabab a tutto ciò che viene dall’Occidente hanno reso infatti ancor più complicato l’intervento delle ong e la consegna di aiuti alimentari. In contemporanea con le dichiarazioni di vittoria del governo, appoggiato dall’Occidente, un portavoce degli Shabab, Sheikh Ali Mohamoud Rage, ha sostenuto invece che non di fuga si tratta ma di una «ritirata strategica». «Prometto a tutti i somali che abbiamo cambiato le nostre tattiche – ha detto Rage – e che, nelle prossime ore, impartiremo loro lezioni indimenticabili».
Gli Shabab, che si dichiarano legati ad Al Qaeda, controllano ancora ampie zone della Somalia e nella capitale avevano stabilito alcune roccaforti dove praticavano la Sharia. Bisognerà  attendere per accertare se la loro ritirata è un ulteriore segnale di indebolimento. Negli ultimi mesi, alcuni analisti hanno riferito di dissidi all’interno dell’organizzazione in merito agli obiettivi da perseguire, con una fazione più orientata all’imposizione della legge islamica sul solo territorio somalo e una determinata a perseguire la jihad internazionale. Di certo, per il governo somalo è un’occasione per dimostrarsi all’altezza della situazione e riportare l’ordine a Mogadiscio, un’impresa ardua per un esecutivo che non ha il vero controllo dell’esercito, come dimostra quanto accaduto venerdì scorso. Durante una distribuzione di aiuti dell’Onu, i soldati hanno cercato di accaparrarsi alcuni sacchi di cereali e hanno sparato sulla folla, facendo dieci morti.
La siccità  e la conseguente carestia che stanno affamando il Paese sono un elemento destabilizzante sia per gli Shabab – nelle zone da loro controllate l’emergenza è maggiore – sia per il governo, pressato dai Paesi confinanti alle prese con migliaia di profughi. Ieri l’Onu ha lanciato l’allarme per la diffusione di un’epidemia di morbillo tra i rifugiati in Etiopia, conseguenza del sovraffollamento e della folle campagna contro le vaccinazioni messa in atto dagli Shabab, per i quali anche le medicine degli Occidentali, come ogni altro aiuto, va rifiutato.


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