Scontrini, sommerso, elusione così 120 miliardi ogni anno sfuggono alla tassazione
Se un euro ogni tre evasi venisse regolarmente dichiarato al fisco, non ci sarebbe bisogno della manovra che in queste ore dilania il centrodestra. Più della pressione fiscale, cavallo di battaglia delle campagne elettorali berlusconiane, il vero record italiano sono i 120 miliardi di euro che ogni anno vengono semplicemente rubati allo Stato. Recuperando solo un terzo di quella cifra si arriverebbe a 40 miliardi contro una manovra che nelle intenzioni del governo ne dovrebbe valere 45. Così la guerra agli evasori diventa uno dei dilemmi del centrodestra: costringere il proprio elettorato a far quello che, in modo subliminare, gli era stato fatto credere che non avrebbe mai fatto fino in fondo, pagare davvero le tasse.
L’effetto della rivoluzione che forse non si vedrà mai vale poco meno di dieci punti di Pil: secondo i dati diffusi dal ministero dell’Economia, la pressione fiscale in Italia pesa sul Prodotto interno lordo per il 43,5 per cento. Ma a costruire il Prodotto interno lordo italiano contribuiscono anche gli introiti che derivano dall’economia sommersa, quella che il fisco non riesce a vedere. Così il 10 febbraio scorso la Cgia di Mestre ha calcolato la pressione fiscale effettiva, quella che grava su coloro che le tasse le pagano davvero e costituiscono l’economia visibile: lavoratori dipendenti (tutti) e lavoratori autonomi (quelli onesti). Depurando il Pil dal fatturato del sommerso si scopre che la pressione fiscale effettiva è del 51,9 per cento. In sostanza se tutti pagassero le tasse, per questo solo fatto la pressione fiscale, a gettito invariato, scenderebbe di 8,6 punti percentuali.
La guerra all’evasione ha recuperato nel 2010 circa 10 miliardi di euro. Luigi Magistro, il direttore dell’Agenzia delle Entrate che coordina le operazioni sul campo di battaglia, sottolinea che «nell’ultimo periodo è stato compiuto un significativo passo in avanti rispetto ai 6 miliardi dei recupero di qualche ano fa. Ma certo la strada è ancora lunga». Se, come si prevede, nel 2011 si arriverà a recuperare 11-12 miliardi di euro, bisogna sempre tenere presente che si tratta comunque di un decimo del malloppo sottratto ogni anno alle casse pubbliche. E nessun ingegnere idraulico potrebbe ritenersi soddisfatto di una conduttura che perde per strada il 90 per cento dell’acqua.
Per condurre la guerra è necessario conoscere a fondo il nemico. Chi è l’evasore? Una possibile risposta si ritrova nel recentissimo report del gruppo di lavoro su «Economia non osservata e flussi finanziari» presieduto dal presidente dell’Istat, Enrico Giovannini, e presentato a Tremonti il 14 luglio scorso. L’identikit è basato sulla tendenza italica a raccontare frottole al fisco e a dichiarare la verità quando si è certi dell’anonimato. Così basta confrontare i redditi dichiarati alle Agenzie delle entrate con quelli, più cospicui, confessati nei questionari anonimi delle indagini statistiche della Banca d’Italia. Le differenze sono vistose: gli uomini dichiarano in media 3.200 euro in più quando sono certi dell’anonimato, le donne, più virtuose, solo 1.170. Si evade di più al Centro (17 per cento) ma si evade molto anche al Nord (14 per cento) mentre il Sud sembra più virtuoso. Ma, avvertono gli estensori del rapporto, potrebbe trattarsi di un’illusione ottica perché «secondo altre indagini l’economia sommersa dovrebbe essere in media più diffusa nel Mezzogiorno». Insomma nel Sud si riuscirebbero ad evadere anche le indagini sull’evasione. Drammatiche le differenze per tipologia di contribuente: si scopre così che i lavoratori dipendenti dichiarano addirittura un reddito inferiore quando sono tutelati dall’anonimato rispetto a quanto risulta dagli accertamenti del fisco mentre lavoratori autonomi e imprenditori nascondono il 56 per cento del loro reddito e gli iper ricchi confessano al fisco solo il 17 per cento delle loro effettive proprietà .
«Si fa presto a dire evasori – premette Magistro – perché c’è frode e frode. Sono milioni quelli che chiamiamo micro evasori, persone che lavorano in nero o nascondono una parte del loro reddito per mantenere un livello di vita che in realtà non potrebbero permettersi. In genere, quando vengono scoperti, non sono in grado di restituire il maltolto per il semplice motivo che lo hanno speso o lo hanno utilizzato per pagare il mutuo della casa. In questi casi l’accertamento fiscale e le inevitabili sanzioni possono provocare conseguenze drammatiche per chi li subisce». Sono i forzati del doppio lavoro o coloro che accumulano in nero una parte delle entrate e che si nascondono nella vastissima platea delle partite Iva, circa 5 milioni di italiani. Tante piccole evasioni che incidono sulla torta complessiva come l’ancor più vasta area dell’elusione, la zona grigia di coloro che pagano solo una parte del dovuto magari con la complicità dei commercialisti: «Può accadere – ammette Magistro preoccupato di non generalizzare – che un consulente ritenga di fare l’interesse dell’assistito aiutandolo a non pagare le tasse invece di ricordargli i rischi che corre».
I sistemi di indagine infatti si fanno sempre più sofisticati. Nei prossimi mesi dovrebbe entrare in vigore il redditometro 2, versione aggiornata del primo strumento, nato vent’anni fa, per confrontare dichiarazioni dei redditi e effettivi stili di vita: «Oggi le voci prese in considerazione sono una decina mentre domani saranno circa un centinaio», rivela Magistro. Oltre all’auto entreranno nel redditometro la palestra, le scuole private di lusso, i telefonini. Per negozi e ristoranti si ricorre a veri e propri stratagemmi: «In certi casi basta verificare quante tovaglie ha mandato in lavanderia una pizzeria per sapere qual è stato il reale giro d’affari», dicono all’Agenzia. Tutti deterrenti che non sempre servono a fermare gli evasori totali. Ma dovrebbero scoraggiare gli altri. Casi come quello della tranquilla impiegata di Reggio Emilia che nel 2006 ha dichiarato un reddito di 27 mila euro e che invece aveva entrate nascoste per 450 mila euro. E’ stata scoperta perché ha acquistato azioni per oltre 2 milioni e ha cercato di giustificarsi: «L’ho fatto per fare un favore agli altri soci che sono miei amici».
Ingenuità che non commettono i grandi evasori, le società che hanno la possibilità di frodare milioni al fisco. In Italia ci sono 3.000 aziende sopra i 100 milioni di imponibile annuo e 70 mila tra i 5 e i 100 milioni. «Con le grandi aziende – spiega Magistro – c’è da tempo un’azione di tutoraggio, la collaborazione è spesso proficua per loro e per il fisco. Stiamo ora concentrando l’attenzione su quelle medie». I trucchi per evadere in questi casi sono abbastanza tradizionali. Uno dei più diffusi è quello dell’esportazione dei capitali o del trasferimento della stessa sede sociale nei paradisi fiscali. A febbraio è stata scoperta una società sarda che ha mantenuto l’attività a Cagliari ma ha spostato la sede a Panama. E’ stata costretta a pagare 5 milioni di euro tra sanzioni e recupero del dovuto. Più ingegnosa la truffa scoperta ad Ancona a febbraio: un milione e mezzo di tasse evase da una società del settore ittico che dichiarava di pescare due terzi delle vongole che effettivamente vendeva. Quando i funzionari dell’Agenzia delle entrate hanno messo alle strette i titolari, si sono sentiti rispondere che le vongole erano sì state pescate ma poi erano state ributtate a mare perché considerate scarto. Il fisco, questa volta, non ha abboccato.
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