Scajola, tempi stretti per l’inchiesta

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ROMA — Si cerca di guadagnare tempo ma non è scontato che ci si riesca.
L’indagine sull’ex ministro Claudio Scajola, finora condotta con rapidità  dai magistrati romani — le carte sono arrivate a maggio e l’iscrizione dell’ex ministro nel registro degli indagati risale a luglio — rischia di essere interamente vanificata dalla prescrizione. A piazzale Clodio non si nasconde la sorpresa per la decisione dei colleghi di Perugia di non procedere sull’episodio dell’appartamento al Colosseo in modo analogo (Scajola non è mai stato indagato dalla procura di Perugia come, del resto, il difensore Giorgio Perroni ha sottolineato anche ieri).
In un primo momento, per la vicenda, si era ipotizzato il reato di corruzione ma, dalle indagini effettuate, non è mai affiorata una contropartita. Dunque la contestazione per l’ex ministro dello Sviluppo è «finanziamento illecito a un parlamentare». Reato per il quale si potrà  procedere in modo ordinario evitando il tribunale dei Ministri.
A questo punto si cerca di evitare la prescrizione su una vicenda che ha interessato l’opinione pubblica e alla quale è parso sensato dare una conclusione.
In caso di finanziamento illecito a un parlamentare la prescrizione scatta dopo sei anni. E se l’acquisto dell’appartamento di via del Fagutale dalle sorelle Beatrice e Barbara Papa risale al 2004, la partita (giudiziaria) si gioca ora su quei lavori di ristrutturazione interamente finanziati da Diego Anemone e conclusi nel 2006.
Non resta che frugare tra le pieghe dell’inchiesta complessiva sul G8 e i Grandi Eventi in cerca di qualcosa che possa far guadagnare tempo. Un nuovo interrogatorio o misure cautelari, ad esempio, che, come prevede la normativa, farebbero scattare un allungamento dei tempi di prescrizione.
Quanto alla casa romana di Scajola, regalo di Diego Anemone all’ex ministro che, in quanto parlamentare, non poteva beneficiarne senza violare la legge, risale ormai a più di sei anni fa. Il versamento dei 900 mila euro in assegni circolari per l’acquisto degli ormai famosi 180 metri quadri di via del Fagutale, è puntualmente registrato nei verbali dell’interrogatorio di Angelo Zampolini, ex factotum di Anemone e depositario di metodi e liste della «cricca» che operava ai margini dei Grandi Eventi. Siamo nella primavera del 2004.
Il 19 maggio di quell’anno, due mesi prima di perfezionare l’acquisto, è la stessa segretaria di Anemone a registrare, con pignoleria, le spese sostenute per il compromesso.
Quanto ai lavori di ristrutturazione, vale a dire l’aggiunta di «altre due stanze con bagno annesso» ai sette vani iniziali, pagati dall’imprenditore Anemone, la partita è ancora aperta. Secondo i calcoli ci sarebbe tempo fino al 2012. Un breve margine, sul quale però è possibile lavorare.
Sulla vicenda Scajola, si è espresso ieri il capogruppo del Pdl Fabrizio Cicchitto: «Esprimo la mia solidarietà  all’onorevole Scajola e la certezza che chiarirà  tutto dopo».
La procura di Roma che ha ereditato da quella di Perugia una serie di posizioni — per la precisione tutto ciò che non era stato affidato al procuratore aggiunto Achille Toro, accusato di corruzione — si occuperà  anche di don Evaldo Biasini («Don Bancomat»), l’ottantenne economo della Congregazione del Preziosissimo Sangue che avrebbe gestito i fondi neri per la cricca. Il «programma di gestione contabile» che il sacerdote conservava su alcune chiavette Usb aveva consentito ai magistrati di Perugia Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi di scoprire la gestione diretta di almeno 50 conti correnti della cricca. Tredici dei quali intestati allo Ior necessari a movimentare soprattutto valuta straniera.


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