Salento, prove di lotta al caporalato

by Sergio Segio | 10 Agosto 2011 6:59

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 BARI.La lotta dei braccianti africani alloggiati nella tendopoli nei pressi della masseria Boncuri di Nardò va avanti. E si sposta, con determinazione, dai campi ai tavoli istituzionali. Ieri l’ultimo incontro a Bari, nella sede dell’assessorato all’agricoltura, dove sono approdate, almeno in parte, le richieste poste dagli stessi braccianti lunedì scorso nella prefettura di Lecce. Il carnet di richieste dei lavoratori in sciopero da giorni per il contratto di lavoro e contro il caporalato è fitto.

Ora qualcosa, anche se minima, sembra muoversi nella direzione da loro indicata. L’incontro barese, presieduto dall’assessore regionale all’agroindustria Dario Stefà no, a cui hanno partecipato le organizzazioni sindacali di categoria, Flai Cgil (insieme alla Cgil Lecce), Fai Cisl e Uila Uil, Copagri e Coldiretti Puglia, l’assessore regionale al welfare, Elena Gentile, e una delegazione di braccianti in sciopero, qualche risultato, per quanto parziale, l’ha portato. Il confronto tra le parti, che partiva dal verbale di accordo sottoscritto a Lecce (anche se non dai rappresentanti di categoria delle aziende), offre una prima novità  rispetto alla modalità  d’ingaggio dei lavoratori in agricoltura. Per saltare a piè pari l’intermediazione “offerta” dai caporali, da oggi tutti i braccianti di Nardò si iscriveranno in liste di prenotazione depositate nel centro territoriale per l’impiego. Se vorranno, i datori di lavoro dovranno attingere da lì la manodopera da impiegare nei campi per le loro produzioni. Nei prossimi giorni inoltre l’Agea (Agenzia per le erogazioni in agricoltura) renderà  disponibili alla Regione le liste con i nomi delle aziende che lavorano il pomodoro. Certo, per le aziende l’obbligo di passare dal collocamento non c’è. E questo è un punto debole dell’accordo. A ogni modo, se non fosse questa la prassi, i braccianti, la Flai Cgil e la Cgil Lecce, farebbero partire le denunce all’ispettorato del lavoro. Tra l’altro, la Flai chiede che i controlli partano subito. «Ora le aziende stanno utilizzando molti irregolari per aggirare lo sciopero», precisa Giuseppe De Leonardis, segretario regionale del sindacato, «e hanno abbassato il prezzo del cassone».
Altra questione è quella del trasporto. La Regione, tramite il comune di Nardò, ha destinato dei fondi all’organizzazione di una rete di trasporto per i braccianti nei campi, da qui alla fine della raccolta. Nelle intenzioni del tavolo, dovrebbero poter usufruire del servizio navetta solo le imprese che assumono i braccianti tramite le liste presentate al centro territoriale d’impiego.
Il punto però ora è vedere quali aziende intendano sottoscrivere questi impegni. E quindi assumere senza caporali. La Cia ha disertato l’incontro di ieri sostenendo che parteciparvi avrebbe voluto dire assumersi la responsabilità  del caporalato. La Coldiretti ha invece ribadito che può al massimo fare un’opera di sensibilizzazione presso i propri associati. Ma non di più.
L’obiettivo della Regione sarebbe invece un altro. Individuare tre, quattro aziende con cui sottoscrivere l’impegno per le assunzioni regolari, offrendo loro in cambio il trasporto dei braccianti verso i propri terreni. «Sarebbe un modello virtuoso – dice l’assessore Elena Gentile -, da esportare in seguito anche altrove, anche nella raccolta del pomodoro in Capitanata. Costruiamo una buona prassi a partire da Nardò».
I braccianti di Nardò guadagnano 3,50 euro per ogni cassone raccolto. Un cassone arriva a contenere 3 quintali di pomodori. In un giorno mediamente un bracciante ne riempie 6-7, racimolando 20 euro. Ma da quando sono in sciopero, non percepiscono più salario. Per questo molti di loro sono tornati a lavoro, nelle stesse condizioni o accettando paghe persino inferiori (2,50 euro a cassone). I lavoratori che continuano a scioperare sono un centinaio. Per loro è stata anche attivata una Cassa di resistenza.

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