Rubin: il presidente imiti Clinton
MILANO — L’America dovrebbe fare come fece il presidente Bill Clinton nel ’93 e alzare le tasse ai più ricchi, sostiene Bob Rubin, 72 anni, dal 1995 al 1999 ministro del Tesoro di Clinton. La sua ricetta per rilanciare l’America? «Un serio piano fiscale, ma da posticipare di un paio d’anni per non soffocare la ripresa economica e, nel frattempo, un programma temporaneo di stimolo», spiega Rubin, attualmente copresidente del Council on Foreign Relations.
Cominciamo dal declassamento di Standard & Poor’s. L’America è ancora da tripla A, come ha dichiarato il presidente Barack Obama?
«Sono d’accordo con il presidente Obama. Penso che il compito delle agenzie di rating sia di giudicare l’affidabilità di un Paese e valutare quanto sicuro è investire nel suo debito pubblico. Nessuno dubita che il governo americano non ripagherà i propri debiti. Non so perché S&P abbia preso questa decisione, mentre le altre due agenzie di rating hanno confermato la tripla A».
Crede che il downgrade di S&P sia uno «Sputnik moment», un’occasione di cambiamento per unificare il Paese e realizzare i cambiamenti strutturali per uscire dalla crisi?
«Me lo auguro. Nel suo discorso il presidente Obama ha invitato repubblicani e democratici a mettere da parte l’ideologia, per trovare un pacchetto di misure fiscali, inclusa una riforma delle tasse, per il bene del Paese».
Consiglierebbe a Obama di imitare il programma di riduzione del deficit del presidente Clinton nel ’93, aumentando le tasse ai più ricchi?
«Se guardiamo al programma di Clinton, metà erano tagli alla spesa, l’altra metà un aumento delle entrate. I critici lo bocciarono temendo che avrebbe spinto gli Usa in recessione, invece abbiamo avuto un lunghissimo boom economico. Quel piano favorì la discesa dei tassi di interesse, e ovviamente non avrebbe questo effetto oggi, visto che i tassi sono già bassi. Come allora, questo potrebbe aiutare a ridare fiducia ai consumatori e alle imprese, spazzando via l’incertezza politica».
Il compromesso raggiunto per alzare il tetto del debito Usa affida a una commissione bipartisan il compito di trovare misure per tagliare il deficit. Da dove dovrebbe cominciare?
«Dovrebbe essere un mix di aumento di entrate e riduzione della spesa. Le entrate rappresentano circa il 15,5% del Pil, la spesa circa il 25%: non si può tagliare il deficit senza agire su entrambe le voci e allo stesso tempo rilanciare la crescita. Sul fronte delle entrate, senza toccare le aliquote, basterebbe anche l’eliminazione di crediti e deduzioni. O la commissione potrebbe alzare la pressione fiscale della fascia più ricca, diciamo chi guadagna oltre 250 mila dollari, appena il 2% della popolazione. Se a questi si applicassero le aliquote di Clinton, il governo incasserebbe 750 miliardi in 10 anni. Se aggiunge il risparmio degli interessi sul debito che non dovrebbe collocare, arriviamo a circa 900 miliardi».
Se riguarda il 2% delle persone, non dovrebbe essere una scelta troppo impopolare.
«E infatti c’era un ampio supporto pubblico. Ma abbiamo un gruppo al Congresso che si oppone a qualsiasi ritocco delle tasse».
Ritiene che sia tempo di cambiare il sistema elettorale americano per impedire al presidente di essere ostaggio del Congresso o di una parte di esso?
«Per cambiare il sistema politico, bisogna emendare la Costituzione e non penso che dovremmo farlo. Ma dovremmo cambiare il modo in cui la politica funziona. Ad esempio, modificando i distretti elettorali, coma ha fatto la California».
I mercati sono spaventati dallo spettro di una nuova recessione Usa. Il rischio è salito?
«Direi che le probabilità sono relativamente basse. Vedo piuttosto una ripresa lenta. Ma penso anche che la politica possa fare la differenza. Se i nostri politici si mettono d’accordo su un serio programma fiscale e altre misure, le cose possono cambiare».
L’austerità fiscale non rischia di soffocare la ripresa?
«No, se si approva un programma fiscale ma si rinvia l’entrata in vigore fra due o tre anni, per non rallentare l’economia. Il piano contribuirebbe a ridare fiducia. Nel frattempo, per sostenere l’economia, si potrebbe avviare uno stimolo temporaneo».
La disoccupazione Usa resta sopra il 9%. Come si creano nuovi posti di lavoro?
«Il modo migliore è aumentare la fiducia di consumatori e imprese, spazzando via l’incertezza sulla politica economica».
Serve una nuova iniezione di liquidità da parte della Federal Reserve, il terzo round del cosiddetto «quantitative easing»?
«E a che cosa? Il rendimento dei titoli decennali del Tesoro americano è sceso ancora e c’è abbastanza liquidità in giro».
Viviamo una crisi economica o una crisi di leadership?
«È una questione di volontà politica al Congresso».
Quale ruolo gioca la crisi del debito in Europa sulla ripresa americana?
«Ha un effetto psicologico. La gente è preoccupata su quanto accade in Europa».
Come valuta il ruolo della Germania nella crisi?
«La Germania è centrale per risolvere problemi europei e ha un enorme interesse economico e geopolitico a trovare una equilibrio di lungo periodo».
Come evolveranno le relazioni con la Cina?
«La Cina molto probabilmente continuerà a crescere e diventerà sempre più un importante player economico e geopolitico globale. Pechino ha una grande quota del debito americano perché ha sostenuto il dollaro per promuovere il suo export. È nel suo interesse che l’America riparta. E, con investimenti pubblici e un serio piano fiscale, l’America può ripartire».
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