Quelle storie nascoste del rione Sanità 

by Sergio Segio | 10 Agosto 2011 6:35

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Ed era proprio quello che la classe politica del dopo-Tangentopoli non aveva fatto. Dunque, una buona amministrazione avrebbe dovuto convogliare le forze vive della società  in una mappatura della metropoli, da analizzare metro per metro, vicolo per vicolo, portone per portone. Per fare in modo che i napoletani tornassero a conoscere Napoli.
Le parole di Rea erano riecheggiate durante una chiacchierata con il professor Alberto Lucarelli, appena ritrasferitosi da Parigi per la campagna elettorale che lo porterà  a essere eletto nella lista civica per De Magistris e poi a essere nominato assessore ai Beni comuni, primo in Italia. Ho scoperto di non aver mai conosciuto davvero Napoli, diceva Lucarelli, a dimostrazione della tesi che i napoletani non conoscono la loro città .
A riportare a galla questi due episodi è ora la lettura di Rione Sanità  (Ediesse edizioni, dieci euro) di Cinzia Massa e Vincenzo Moretti. È il racconto, attraverso un mini-reportage e una raccolta di storie, di quella città  nella città  che è il quartiere del centro storico dove nacque Totò e dove negli ultimi decenni hanno proliferato povertà  e malavita. Un unicum in Europa, verrebbe da dire: un quartiere chiuso, delimitato dall’impossibilità  di accedervi ma in pieno centro cittadino, con la gente dei rioni confinanti che preferisce girargli attorno piuttosto che attraversarlo. Eppure siamo nella pancia della città , e in quei cinque chilometri quadrati che un tempo erano il quartiere della nobiltà  napoletana e che prendevano il nome dai boschi e dall’aria salubre oggi vivono cinquantamila persone, il caos è tale da lasciare stupito persino il sindaco di Bogotà  e la casa dove nacque Totò è abbandonata.
Ebbene, in questo crogiuolo di umanità  dolente colpisce vedere così tanti «medici» abili a stilare diagnosi ed elaborare la cura. «Rione Sanità » racconta le associazioni e le persone che lavorano a rendere migliore questa parte di città  sconosciuta a molti cittadini. Alcuni sono «napoletani di ritorno», come quelli che hanno fondato l’associazione l’Altra Napoli, altri provengono da zone diverse, altri ancora, come un sociologo che ha fatto del suo blog un vero e proprio giornale locale, sono autoctoni. Su tutti si erge la figura di Alex Zanotelli, missionario comboniano che ha lasciato Nairobi per trasferirsi proprio qui e che denuncia l’estrema frammentazione sociale, in cui l’unico elemento di unione è il calcio, e i rischi di gentrification, cioè che i poveri vengano espulsi il giorno in cui il quartiere comincerà  a essere riqualificato.
Grazie al lavoro degli attivisti e della Chiesa di base, l’unica struttura davvero presente e riconosciuta dai cittadini, e alla loro capacità  di organizzarsi in rete vincendo le tendenze all’isolamento, qualche effetto la «cura» comincia a darlo. Un esempio per tutti: la riappropriazione del cimitero delle Fontanelle, un ossario del Seicento occupato perché fosse restituito alla città . Peccato che chi dovrebbe organizzare e garantire la diagnosi e la cura, cioè lo Stato, sia l’unico assente non giustificato.

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