Quell’ultima trincea per scongiurare il collasso dell’euro

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ROMA – Potrebbe rivelarsi l’ultima trincea per evitare il collasso dell’euro e la disgregazione dell’unione monetaria. E questo scenario apocalittico potrebbe spingere anche la Germania – il Paese che più li pagherebbe, ma che più ha da perdere dalla fine della moneta unica – ad accettarli. Il dibattito sugli eurobond – Bot emessi collettivamente dai 17 Paesi dell’area euro, per finanziare il debito dei suoi membri – è ripreso con grande clamore, da quando la crisi finanziaria europea ha raggiunto la soglia dell’allarme rosso con l’attacco speculativo a Italia e Spagna. E la decisione della Commissione di Bruxelles di preparare, per l’autunno, uno specifico progetto consentirà  di delineare meglio gli schieramenti.
Gli eurobond rappresentano un sostanziale salto di qualità  rispetto al meccanismo appena messo in piedi dall’eurozona con l’Efsf (l’European financial stability facility). Nel caso dell’Efsf, i Paesi della moneta unica conferiscono 440 miliardi di euro, in proporzione al loro prodotto interno lordo. Il fondo interviene in specifiche situazioni (come l’aiuto alla Grecia), finanziando l’intervento con l’emissione di obbligazioni, che pagano un interesse più basso di quello che pagherebbe la Grecia, perché il rating del fondo è il massimo possibile (AAA). Il rating è alto, perché ogni intervento è appoggiato dalla garanzia di Paesi che già  godono – come Francia e Germania – della tripla A.
Questo, però, è un limite: se la Francia perdesse il suo rating attuale, i fondi a disposizione dell’Efsf, che già  molti ritengono insufficienti, ad esempio, nel caso di una crisi italiana, verrebbero decurtati. Con gli eurobond, invece, i Paesi garantirebbero, tutti insieme, i loro titoli, con obbligazioni emesse da un’agenzia europea del debito.
Il rating AAA di questi eurobond non dovrebbe essere in discussione. Nel suo insieme, infatti, i parametri finanziari dell’area euro sono buoni: il rapporto fra debito complessivo e Pil totale è all’88 per cento (negli Usa è al 98 per cento), quello fra deficit annuale e Pil è al 4 per cento (10 per cento negli Usa). Inoltre, il mercato complessivo degli eurobond sarebbe di dimensioni globali. Oggi, lo stock di titoli Usa in circolazione è pari a 6.600 miliardi di euro. Mettendo insieme gli stock di titoli dei 17 Paesi dell’euro, si arriva a 5.500 miliardi di euro. Secondo gli esperti, un mercato così grande e così liquido ha due vantaggi. Primo, è praticamente inaggirabile. Si può scappare dal debito greco o da quello irlandese, ma uno sciopero degli investitori in un mercato così grande è difficilmente concepibile.
Secondo, le dimensioni rendono più arduo mettere insieme munizioni sufficienti per un attacco speculativo: troppi soldi occorrerebbero per influenzarlo significativamente al ribasso.
Questi due vantaggi, secondo alcuni, dovrebbero assicurare un tasso d’interesse, anche più basso di quello che risulta dalla media attuale dei rendimenti sui titoli nazionali. Altri pensano che questa riduzione sarebbe limitata ad uno 0,3-0,4 per cento in meno o, addirittura, verrebbe vanificata dai rischi di contagio di Paesi, oggi, in piena salute. Se, comunque, il tasso d’interesse sugli eurobond fosse pari alla media attuale, sarebbe – ha calcolato l’Ifo, un istituto tedesco – pari al 4,41 per cento sui titoli decennali. Per l’Italia, che è arrivata a pagare fino al 6 per cento, e altri Paesi in difficoltà  sarebbe un cospicuo guadagno. Ma per nazioni come la Germania, l’Austria, l’Olanda, una perdita netta. L’Ifo ha calcolato che Berlino – dove l’interesse sui titoli decennali è stato, quest’anno, in media del 3,08 per cento – si troverebbe a sborsare 33 miliardi di euro in più l’anno per pagare l’interesse sugli eurobond, anziché sui Bund.
Ne vale la pena? Berlino potrebbe scambiare l’assenso agli eurobond con l’impegno degli altri paesi ad inserire il pareggio di bilancio nelle loro Costituzioni. Ma difficilmente questo spegnerà  le ansietà  di buona parte dell’opinione pubblica tedesca. Il timore, come spiega l’Ifo, è che, sotto l’ombrello degli eurobond, i Paesi, in particolare mediterranei, perdano ogni incentivo a tenere sotto controllo la loro finanza pubblica. «Senza il pungolo dei mercati – si chiede l’Economist – l’Italia avrebbe portato avanti il suo programma di austerità ?». Per rispondere a questi dubbi, alcuni economisti hanno proposto una sorta di tetto: ogni Paese potrebbe finanziare il proprio debito con gli eurobond, solo fino ad una cifra pari al 60 per cento del proprio Pil. Se va oltre, dovrebbe finanziarsi nuovamente con titoli nazionali, senza garanzia. La replica dei critici è che questo significherebbe innescare la speculazione, appena un Paese si avvicinasse al tetto.
Il dibattito è destinato a continuare. La novità , rispetto ai mesi scorsi, è che l’opposizione, anche in Germania, non è più un muro compatto. Se Angela Merkel continua ad escluderla, l’ipotesi degli eurobond ha incontrato interesse in un bastione del giornalismo conservatore, come la Welt, nella lobby degli esportatori, nell’opposizione socialdemocratica. Pesa la paura dello sconquasso che un collasso dell’euro porterebbe nelle esportazioni e, anche, nei bilanci di molte banche del gigante d’Europa. Sullo sfondo, peraltro, c’è un ostacolo che solo un colpo di genio giuridico della Commissione di Bruxelles potrebbe rimuovere: se l’introduzione degli eurobond, con la loro garanzia collettiva dei debiti altrui, comportasse una modifica del trattato di Maastricht, i nuovi titoli, pensati per risolvere una crisi che si sta sviluppando qui ed ora, arriverebbero fra anni.


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