by Sergio Segio | 6 Agosto 2011 7:20
BERLINO— L’impressione è che Berlino stia giocando con il fuoco in questa crisi che rischia di abbattere l’euro. Troppi retropensieri, o, se non altro, troppe oscillazioni. C’è chi parla ormai apertamente di un «caso Germania» e di una linea troppo spesso rigida (nonostante gli spiragli che si erano visti nel vertice dei leader dell’Unione Europea che aveva deciso il 21 luglio a Bruxelles il secondo pacchetto di aiuti per la Grecia) nell’intervenire per salvare i Paesi più indebitati, con l’Italia oggi in prima fila. Una linea che pesa anche sulle scelte della Banca centrale europea.
D’altra parte, è stato lo stesso nuovo capo della Bundesbank, Jens Weidemann, ad aver fatto sapere di essere contrario alla ripresa degli acquisti dei titoli di stato dei Paesi a rischio decisa giovedì a Francoforte, dopo diciotto mesi di pausa, dal consiglio direttivo della Bce.
Molti analisti ritengono tra l’altro che una delle ragioni dell’inquietudine dei mercati sia legata proprio al ruolo, nella crisi, della Merkel e dei suoi uomini. Senza una posizione chiara della Germania lo stesso accordo di Bruxelles per la Grecia rischia di non essere tradotto in pratica con la necessaria rapidità e senza il via libera della Germania è molto difficile che la Banca centrale europea riesca a difendere con forza Italia e Spagna dagli attacchi speculativi dei mercati. Anche se la stessa Bce non ritiene, per un problema «dimensionale» che la strada dell’acquisto dei bond sia quella prioritaria da seguire. In ogni caso, il governo di Berlino non sembra in questo momento voler accantonare tutte le perplessità e superare i timori di perdere consensi in un’opinione pubblica che teme di «pagare i debiti degli altri» .
Qualcosa sembra cambiato nelle ultime due settimane, quando era prevalsa la convinzione che a Berlino ci si fosse ormai resi conto che lasciare la Grecia, il Portogallo, la Spagna ma soprattutto l’Italia al loro destino (o non fare di tutto per evitare un tracollo) sarebbe stata una scelta dalla conseguenze globali ben più gravi che sobbarcarsi i costi di un salvataggio. I dubbi, invece, sono tornati. Anche perché in una parte del mondo politico ed economico affiora continuamente una sensibile disaffezione verso l’Europa e verso l’euro. In questo quadro complesso si inserisce il problema dell’Italia che, va detto, non sta facendo molto per rassicurare i partner europei (come è stato sottolineato da più parti dopo il discorso di giovedì in Parlamento di Silvio Berlusconi).
Sono stati due, nel mese scorso, gli interventi diretti di Angela Merkel per stimolare il governo di Roma a mettere ordine nei conti pubblici. Prima una telefonata al presidente del Consiglio, poi, il 22 luglio una presa di posizione esplicita per elogiare il «programma di austerità dell’Italia» e per sottolineare, nello stesso tempo, la necessità di prendere «nuove misure per il futuro» .
Parole, queste, che furono accolte con soddisfazione a Palazzo Chigi. Ma nei giorni successivi, mentre la cancelliera si godeva le sue vacanze in Alto Adige (che proprio ieri l’opposizione socialdemocratica le ha chiesto di interrompere per tornare a Berlino a gestire in prima persona la crisi) sono arrivati segnali importanti come la decisione di Deutsche Bank di ridurre da otto miliardi di euro a uno il suo investimento in titoli pubblici italiano. Se l’Italia non è «il» problema è certamente «un» problema.
E’troppo grande per essere lasciata colare a picco, ma c’è forse chi pensa che sia anche troppo grande per essere salvata. Non è un caso che un giornale conservatore come la Frankfurter Allgemeine Zeitung, con un editoriale in prima pagina di una delle sue firme più note, Klaus-Dieter Frankerberger abbia ieri puntato il dito, nel fare un’analisi della situazione, sull’incapacità del governo italiano di trovare risposte adeguate all’aggravarsi della crisi
. «Adesso — scrive Frankerberger — Berlusconi vuole accelerare la crescita in un’economia in cui il maggiore problema è la mancanza di competitività . Ci si chiede che cosa lui e la sua compagnia abbiano fatto a questo riguardo negli ultimi anni. La risposta onesta è: non molto» . Certo, non tutto si può spiegare con una sorta di «diffidenza politica» che si respira a Berlino e che nel passato è stata anche messa intelligentemente da parte quando è stato necessario. Ma questa diffidenza esiste. E solo scelte coraggiose, a Roma, sono in grado di sconfiggerla.
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