Quella scuola degli immigrati cancellat
Da sempre un luogo di incontro. Negli anni Sessanta e Settanta, fra bambini milanesi e bambini napoletani. Oggi tra bambini italiani e bambini stranieri di diverse nazionalità . I genitori e i docenti ne sono entusiasti. E la scuola in passato è stata ritenuta un modello riuscito di integrazione: più volte è stata premiata dalla Regione. Eppure, per volere di un ministro che parla a vanvera di premiare il merito anche se è impegnata a fare l’esatto contrario – ricordiamoci che la scuola primaria italiana prima del suo avvento era la quinta al mondo e la prima in Europa e ora, secondo i dati Ocse-Pisa tanto cari al ministro, è scesa al quinto posto in Europa – questa scuola primaria di eccellenza sarà chiusa. Perché? Ufficialmente perché nelle classi ci sono più del 30% di studenti stranieri. Anche se oggi in Italia c’è una gran confusione su quello che si intende studente straniero. Chi non parla la lingua italiana? Chi la parla ma non è nato in Italia? Chi è nato in Italia ma ha genitori di origine straniera? A ogni modo, la lettera inviata ai genitori dall’Ufficio scolastico territoriale di Milano ai genitori della futura classe prima ha un messaggio brutale: «Cercatevi un’altra scuola». Secondo la nuova legge voluta da Gelmini, infatti, gli studenti stranieri presenti in ogni classe non devono superare il tetto del 30%. Perciò la classe prima verrà soppressa.
Alla statale “Lombardo Radice” gli studenti stranieri sono 80 su 93, di 16 nazionalità diverse, figli di migranti che vivono sulla soglia della povertà . Il fatto è che molti di loro sono stranieri di nome, ma italiani di fatto: più della metà sono considerati stranieri anche se sono nati in Italia e parlano correttamente l’italiano. Allora? Di fonte alle proteste di genitori e docenti che lottano per tenere in vita la scuola, Gelmini risponde: «Le deroghe si danno se la quota di stranieri è un po’ superiore al trenta per cento. Ma dall’Ufficio territoriale di Milano mi hanno detto che la nuova prima classe sarebbe stata composta al cento per cento da stranieri: e così sarebbe stata una situazione difficilmente gestibile. Non vogliamo discriminare nessuno, ma abbiamo pensato che fosse meglio così per tutti. L’Ufficio di Milano mi ha assicurato che i bambini andranno in scuole vicine». Dall’anno prossimo non ci sarà più la prima elementare, il che vuol dire che probabilmente, fra cinque anni, la scuola si estinguerà . E tutto questo avviene mentre i media, la scorsa settimana, hanno finito col leggere la strage di Oslo – quasi cento morti – come un fatto isolato di follia. Eppure in quella terribile tragedia – specie leggendo il manifesto pubblicato su internet di Anders Behring Breivik – riecheggiano lugubri gli echi di tante parole d’ordine che ricorrono nelle destre europee di questi ultimi anni, tra cui l’odio e la paura verso una società multiculturale. David Cameron, il giovane leader conservatore divenuto primo ministro inglese, nei mesi scorsi ha lanciato una battaglia contro il multiculturalismo «che indebolirebbe l’Inghilterra» addirittura nella lotta al terrorismo. Stessa cosa hanno fatto prima di lui la signora Merkel in Germania e Sarkozy in Francia, ripetendo che «il multiculturalismo è fallito». Per non parlare dell’eurodeputato della Lega Borghezio che definisce ottime e sacrosante le idee di Breivik, giusta la crociata per difendere i cristiani dall’Islam.
Peccato che nessuno di questi signori della politica dica qual è l’alternativa a multiculturalismo e intercultura. Non può: non c’è. In realtà il multiculturalismo è sinonimo di chi vuole un continente aperto al dialogo, capace di far interagire positivamente culture diverse. E la strage di Oslo è il pericoloso e drammatico effetto collaterale di politiche populiste improntate all’odio degli uni contro gli altri, di cui l’Europa sperava di essersi liberata definitivamente dopo la seconda guerra mondiale, promosse anche da politiche scolastiche miopi e razziste e come sta accadendo nel caso della scuola “Lombardo Radice” di Milano.
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