Quel panico mai scomparso dopo Lehman Il timore delle armi spuntate per resistere
NEW YORK — Lo spettro di una devastante crisi di liquidità in Europa e la constatazione che l’America, sull’orlo di una nuova recessione, non ha più munizioni per reagire alla crisi, dopo che la Federal Reserve ha inondato per anni i mercati con la sua liquidità e Obama ha esaurito i suoi stimoli. Il film della giornata in cui il panico è tornato a dominare nei mercati di tutto il mondo è pieno di storie di speculatori, operatori disorientati, reazioni irrazionali. Broker di Wall Street che vanno in tv a dire: «Non me la sento più di rischiare. I mercati europei aprono prima del nostro: vendo l’Italia e vado a letto più tranquillo» .
L’Europa non trova di meglio che replicare allo sgomento globale col capo della sua banca centrale, Jean-Claude Trichet, che ributta la palla dall’altra parte dell’Atlantico: «Gli Stati Uniti stanno messi peggio della Ue» . E il Giappone alza il ponte levatoio adottando misure unilaterali per impedire una rivalutazione dello yen. Ore convulse, punteggiate da crolli che si sono diffusi ovunque, dalla Borsa di Milano a Wall Street, che ha perso oltre 500 punti, il 4,3%: il giorno peggiore dall’ottobre 2008. Ore in cui espressioni come «capitolazione» , «fuga indiscriminata da ogni rischio» e «Armageddon» sono state sicuramente usate con eccessiva disinvoltura. Ma i fenomeni alla base di tutto ciò sono abbastanza chiari e, purtroppo, assai difficili da neutralizzare: hanno sostanzialmente a che fare con la sensazione che tutto l’Occidente sta scivolando verso un’altra recessione che può provocare di nuovo pericolose reazioni a catena in campo finanziario. Fenomeni ai quali, stavolta, i governi non sarebbero in grado di reagire con strumenti efficaci.
Nel 2008, dopo il crack Lehman, la crisi di fiducia che sfociò in una «gelata» del credito senza precedenti nell’era moderna fu tamponata in qualche modo dai governi, soprattutto quello Usa. Tra «stimoli» fiscali e interventi d’emergenza della Federal Reserve, Washington dette ai mercati la sensazione che gli Stati Uniti fossero ancora in grado di stendere una rete di sicurezza, di poter funzionare da creditori di ultima istanza davanti a un infarto del sistema privato. Da allora, però, la speranza di poter contare su quella rete di sicurezza in caso d’emergenza è andata evaporando sempre più, mentre il sistema produttivo, alle prese con platee di cittadini consumatori ancora benestanti ma sempre meno ricchi, non è riuscito a recuperare con le sue forze.
In Europa la crisi del debito greco e degli altri Paesi più deboli dell’area dell’euro ha messo in evidenza l’impossibilità dei governi di fronteggiare un collasso di vaste proporzioni esteso a più Paesi. Negli Usa tre anni fa, al tempo del crollo di Wall Street, tutte le speranze erano state riposte in due fattori: l’ombrello della Federal Reserve, la roccaforte che ha sempre protetto l’America nei momenti di tempesta, e la bacchetta magica di un giovane presidente che, dopo la «mission impossible» di arrivare alla Casa Bianca a dispetto del colore della sua pelle, prometteva di rilanciare l’economia e rinnovare la politica americana. Il risveglio è stato brusco: in giro non c’è nessun Harry Potter e, anzi, i mercati— già spaventati dal caos che regna in Europa — scoprono, come detto, che il governo americano non ha più munizioni per sostenere l’occupazione e anche per proteggere il Paese nell’eventualità di un’altra crisi finanziaria. Così, dopo una settimana tremenda, fatta di grandinate di dati negativi sull’economia (aumento del Pil ridotto, ormai, a un misero 0,6%, prima caduta da 18 mesi a questa parte dei consumi degli americani, stagnazione della produzione manifatturiera e ulteriore perdita di terreno del mercato immobiliare) e di scontri paralizzanti tra Casa Bianca e Congresso, l’istinto degli operatori— davanti alle nuove difficoltà dell’Europa— è stato quello di vendere: «Anche la propensione al rischio dei mercati — dicono gli analisti— ha le sue soglie psicologiche» . Ieri una di queste soglie è stata superata.
Con una caduta del listino che a Wall Street è stata insolitamente ampia anche per il timore che i dati economici più importanti della settimana — quelli sull’andamento dell’occupazione Usa a luglio, attesi per stamattina— rendano il quadro ancora più cupo: l’ondata di licenziamenti che nelle ultime settimane si sono diffusi dalle aziende tecnologiche (come Cisco Systems) alla difesa (Lockheed) a banche e finanziarie di Wall Street, non fa sperare nulla di buono.
Meglio, allora, rifugiarsi sotto un vecchio cornicione, non privo di crepe, ma ancora resistente: quello dei Bot del Tesoro Usa. Con un effetto paradossale: il governo federale rischia il «downgrading» ma per adesso pagherà il denaro di meno e non di più, come temeva. Magra consolazione per Obama nel giorno di un cinquantesimo compleanno sconvolto dalla furia della tempesta finanziaria.
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