by Sergio Segio | 28 Agosto 2011 6:33
«Non riesco a capacitarmi». Il segretario del Pd Pier Luigi Bersani abbassa la voce.
«Sì, con Filippo c’era un rapporto personale. Ma questa è una roba inaspettata». Quasi mormora, mordicchiando il sigaro. Un boccone amarissimo la vicenda di Penati, l’ex capo della sua segreteria da cui ieri il segretario, per la prima volta in modo netto, prende le distanze. Una storiaccia che piomba in una Festa nazionale del Pd organizzata in grande stile, nel centro storico di Pesaro tra la Rocca Costanza, i cortili, le antiche porte accanto alle quali ci sono persino quattro panchine «parlanti». Uno si siede, e parte la registrazione, guarda il caso, delle Operette morali di Leopardi.
Bersani arriva a Pesaro a tagliare il nastro della Festa, e di tutto avrebbe pensato di parlare, fino a qualche settimana fa, che dell’espulsione dal partito di Filippo Penati. L’autosospensione non basta. Così ieri di buona mattina il segretario ha chiamato Luigi Berlinguer, il presidente della commissione dei garanti. «Il nostro tribunale interno», la definisce Bersani. Berlinguer ha telefonato a Penati e gli ha detto: «Filippo, ora porti tutte le carte dell’inchiesta alla commissione provinciale e il 5 settembre ti presenti a quella nazionale, a Roma». Mentre cammina tra gli applausi, le strette di mano, lo scricchiolìo di centinaia di scarpe sulla ghiaia della Rocca, il segretario ripete più volte: «E’ un caso doloroso certamente. La commissione di garanzia ha il compito di tutelare il partito. Quello che stiamo facendo convocando i garanti va sotto il titolo: garantire l’onorabilità del partito».
L’onorabilità del partito è del resto la cosa che più gli sta a cuore, sin da quando all’inizio di questa storia aveva immaginato una class action dei militanti democratici se si fosse messa in moto «la macchina del fango» contro il Pd. E va all’attacco quindi sulla sua personale onorabilità , Bersani. Poiché è stato chiamato in causa per una telefonata in cui metteva in contatto Penati e l’imprenditore Gavio. E allora si infuria: «Se qualcuno osa accostare il mio nome a queste vicende per una telefonata di un anno e mezzo prima, che era solo per stabilire un contatto, allora già ho detto che lo querelo».
No, non ha sentito Penati nelle ultime ore. Fa spallucce, Bersani, mordendo il sigaro. Si è consultato con gli altri leader del partito. Prodi consiglia una linea dura, perché «l’etica – ha detto parlando ad alcuni amici della vicenda – non è solo la via per conquistare la vita eterna, il paradiso. E’ uno strumento per vivere bene e in modo giusto su questa terra». Insomma «è politica». E quindi per il Professore «c’è un primato assoluto dell’etica nella prosperità dei Paesi e nelle prospettive e nella vita non solo degli uomini ma anche dei partiti che vogliono rappresentarli».
Bersani non intende entrare nel merito della prescrizione sì o no. Se Penati debba o meno rinunciare alla prescrizione, secondo la legge ex Cirielli, bene è «una decisione che spetta solo a lui, non c’entra con l’inchiesta interna al partito». Lui, Penati, da Milano fa sapere che «è d’accordo con quanto ha detto il segretario, sono pronto a mettermi a disposizione della commissione», andrà con le carte in mano dai garanti provinciali, da quelli romani. Ma aggiunge: «La decisione sulla rinuncia alla prescrizione è prematura, la valuterò con i miei avvocati». Agli amministratori spetta una responsabilità in più, rincara Bersani da Pesaro, durante il dibattito sul suo libro «Per una buona ragione» (Laterza), prima di vedere un pezzo di concerto di De Gregori. Scandisce: «Gli amministratori devono essere più che buoni cittadini».
In mezzo al guado della questione morale il Pd non ci vuole stare. Sono infastiditi i volontari. «Noi ci facciamo un mazzo così e vengono a guardare la nostra pagliuzza, mentre dall’altra parte, quella di Berlusconi, c’è una trave», si sfogano al ristorante Mare. Ecco, la diversità . Non ci vogliono rinunciare i vecchi militanti che ricordano Enrico Berlinguer. Ma la rivendicano pure i nuovi. Marco Marchetti, segretario provinciale del Pd, uno della generazione “TQ”, trenta-quarantenni, apre la festa con le parole della canzone di De Gregori “La storia siamo noi”: «… e poi ti dicono che tutti sono uguali, tutti rubano alla stessa maniera, invece noi siamo diversi perché abbiamo passione». De Gregori attacca a cantare puntuale alle 21 in piazza, anche la vecchia canzone sui ladri, la diversità e la partecipazione.
Ci sono i «Gd», i giovani democratici che hanno stampato sulle magliette una frase di Borsellino sulla legalità e l’altra di Guccini contro l’ingiustizia. «A me – chiarisce Betta – non mi piace una politica fatta di personalismi, tangenti e poltrone, noi dobbiamo cambiare la politica». Ammettono i «Gd» che c’è una certa amarezza, anche se «Penati ha lasciato tutti gli incarichi nel Pd, e di questo gli va reso merito», osservano Matteo e Mattia. Lo ha detto anche Bersani. Anche se ora non basta più. Dovrebbe dimettersi anche da consigliere Penati? Il segretario non risponde. L’istruttoria del Pd sull’ex capo della sua segreteria politica comunque durerà poco, non sarà trascinata per le lunghe.
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