“Lavoro per una Fiat-Chrysler senza di me”
TORINO – «Potrei lasciare nel 2015, forse l’anno dopo, non mi concentro su una data ma sul processo». E questo processo per Sergio Marchionne vuol dire un gruppo Fiat Chrysler perfettamente integrato da affidare a un suo successore che molto probabilmente sarà uno dei supermanager da lui chiamati la settimana scorsa a far parte della nuova squadra del colosso dell’auto italo-americano. In altre occasioni era stata solo una battuta come: «Dopo i sessant’anni spero di riuscire a ritirarmi per avere il tempo di tagliare l’erba del mio giardino». Questa volta l’annuncio ha tanto l’aria di un percorso al quale il ceo di Fiat e Chrysler ha pensato a lungo collocandolo al capolinea della grande operazione Torino-Detroit. Anche se continua a dire che per il momento si tratta solo di una battuta, ma questa è la sostanza.
Per diffonderlo, come gli accade sovente, Marchionne ha scelto una tribuna americana, esattamente quella del Car Centre Automotive Research di Traverse City, nel Michigan. Dove, dopo aver detto di credere che «Fiat-Chrysler sarà uno dei cinque o sei players che alla fine comporranno il business globale dell’auto – ha precisato che – toccherà a chi verrà dopo di me, sperabilmente nel 2015, forse un anno dopo» prendere in mano il comando. Marchionne ha ricordato di avere oggi 59 anni e dunque di dover mettere in conto un passaggio delle consegne, sottolineando di avere «sempre pensato che il successore debba arrivare dall’interno». Ma al di là della scadenza, ancora relativamente lontana nel tempo, il messaggio di Marchionne riguarda il gruppo che egli intende continuare a costruire prima di lasciare. «Ci sarà qualcuno dopo di me e ci sarà una Chrysler dopo di me». Ma come sarà questa nuova azienda? La risposta di Marchionne è che «la Chrysler deve adeguarsi al sistema industriale Fiat. La sfida è accelerare l’integrazione industriale» ha spiegato. «Insieme i nostri due gruppi saranno in grado di raggiungere la massa critica necessaria per competere su scala globale con 6 milioni di veicoli venduti nel 2014». Per Marchionne questo obiettivo è «la sfida a tutti i livelli, anche culturale». E questo per lui vuol dire anche il clima sociale non ostile su cui insiste da mesi in Italia e un «dialogo col sindacato che permetta di intendersi concretamente come accade in Usa».
La necessità di accelerare l’integrazione per il numero uno di Fiat-Chrysler è imposta anche dal pericolo Cina: «Per l’America e per l’Europa il fatto che i costruttori cinesi possano in futuro esportare è un rischio enorme, anche se si trattasse del 10 per cento di quello che producono. Oggi essi lavorano quasi esclusivamente per il mercato interno ma hanno piani significativi per l’esportazione. Perciò non possiamo permetterci di essere impreparati, dobbiamo continuare a lavorare per rendere la nostra base industriale competitiva perché il giorno della resa dei conti sta inevitabilmente arrivando». In che modo? Per Marchionne la strada è quella che passa per un’azione congiunta di azienda e sindacati finalizzata a una «rinascita duratura nel settore auto in America». Ecco perché egli sostiene che «non c’è spazio tra Fiat e Chrysler per i nazionalismi e per cercare di essere padroni uno dell’altro. Anziché considerare la partnership come una fusione dobbiamo forse vederla come un mosaico nel quale ogni pezzo contribuisce a un insieme pur mantenendo caratteristiche distinte. Le differenze tra Fiat e Chrysler sono la forza dell’alleanza».
E’ una sorta di “manifesto americano” quello che ieri Marchionne ha presentato, non trascurando di sottolineare differenza tra i due mondi, uno dei quali, quello europeo, a suo dire, è appesantito dalle ideologie che impediscono le accelerazioni che lui insegue. E delle quali, a breve, fa parte anche un impegno per ridurre le emissioni, evitando di attardarsi su sistemi futuribili, ma pensando a quello che c’è, come i motori a gas e ha annunciato che il prossimo anno la Chrysler lancerà in Usa una Fiat 500 elettrica.
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