by Sergio Segio | 26 Agosto 2011 6:04
PARIGI – «L’ideologia finanziaria continua a dominare, e a farci paura. Bisogna ritrovare un equilibrio tra la politica, l’economia e le esigenze sociali, come fu agli albori della costruzione europea». Nell’ufficio del nono arrondissement, Jacques Delors sta studiando gli ultimi dettagli del suo imminente viaggio in Germania. «Voglio spiegare agli amici tedeschi che avranno molto più da perdere che da guadagnare se continueranno a rifiutare le obbligazioni europee», racconta Delors, 86 anni, seduto nell’appartamento dell’associazione Toute l’Europe, tra cartelle e pile di libri. Padre dell’Europa e «vecchio social-democratico», ama definirsi. E’ sotto la sua guida che la Commissione europea, tra il 1985 e il 1994, ha lanciato il mercato unico. «Purtroppo, ha prevalso l’aspetto monetario su quello economico contrariamente allo spirito del rapporto Delors del 1989, l’unione ha camminato azzoppata con le conseguenze che vediamo oggi». Sono giorni di frenetica attività per Delors, che rifiutò di candidarsi all’Eliseo e ora sostiene la figlia Martine Aubry, possibile sfidante di Nicolas Sarkozy tra qualche mese. «Dalla Francia – dice – può partire un risveglio della sinistra per tutto il continente». Chi lo conosce sa che non ama i riflettori. «Ma ho deciso che era il momento di lanciare l’allarme: l’euro è sull’orlo del precipizio e tutti fanno finta di niente».
Panico e mancanza fiducia, sono le due parole che si ripetono in questi giorni. Dove nasce la paura?
«Lo spirito dei tempi non è buono. Da una parte, ci sono i timori della globalizzazione che alimentano il populismo e il nazionalismo. D’altra parte, è cresciuto a dismisura l’individualismo, manca lo slancio verso un impegno collettivo e solidale. Infine, c’è un’insufficienza di leadership. Oggi non ci sono più in Europa quattro o cinque dirigenti politici capaci di avere una visione che superi il brevissimo periodo. I sondaggi d’opinione dettano legge. Ricordo invece che quando Helmut Kohl ha fatto entrare la Germania nell’euro aveva il 60% dei tedeschi contrari all’abbandono del deutschmark. Anche Helmut Schmidt e Valery Giscard d’Estaing, creando il sistema monetario europeo, sono riusciti a sormontare ostacoli difficili. C’è, insomma, un deficit di politica e dunque di coraggio».
Il potere di nuovi soggetti finanziari, come i mercati e le agenzie di rating, è una minaccia per le istituzioni democratiche?
«E’ troppo facile fare discorsi contro il denaro. Preferisco avere un approccio pragmatico. I mercati finanziari vanno presi sul serio, senza dar credito a tutte le voci che li alimentano. Il problema è la mancanza di regolamentazione. E’ come giocare una partita di calcio senza arbitro, nella quale i giocatori fanno ciò che vogliono. Da quando è cominciata la crisi, il G20 non ha saputo imporre un minimo di regole. Ad esempio, obbligare le banche a separare i servizi alla clientela dalle attività sui mercati, sempre speculative. Per questo sono favorevole alla Tobin Tax. Non credo alla fuga di capitali all’estero o nei paradisi fiscali, che tra l’altro esiste già . E’ un rischio? Vale la pena di correrlo».
Come siamo arrivati a questo punto?
«I primi dieci anni dell’euro sono stati un formidabile successo. Abbiamo avuto una crescita economica del 2,1% annuale, l’inflazione è rimasta stabile, sono stati creati oltre 16 milioni di posti di lavoro. Ma c’era già , alla base, un difetto di costruzione nell’unione perché l’aspetto monetario ha prevalso su quello economico. Ho sempre detto che l’euro non stimola ma protegge. Ci ha protetto anche dai nostri errori come si è visto negli ultimi anni».
Dalla Grecia in poi nessuno è riuscito a fermare la crisi dei debiti pubblici. Chi ha sbagliato?
«I tedeschi denunciano gli inganni dei precedenti governi della Grecia, le condizioni che hanno favorito l’eccessivo indebitamento in Spagna, la negligenza degli irlandesi sul sistema bancario. Ma io chiedo: dov’erano in questi anni i membri dell’Eurogruppo? Nessuno ha visto o voluto vedere. Esiste oggi una responsabilità collettiva dei membri dell’Eurogruppo per la situazione in cui siamo precipitati. E’ quello che dico anche agli amici tedeschi».
Nicolas Sarkozy e Angela Merkel sono all’altezza della sfida?
«Hanno deluso molti, non soltanto me. Quando c’è un incendio bisogna chiamare i pompieri. Solo dopo si può pensare a degli architetti per costruire un nuovo sistema. La Banca centrale europea sta facendo un buon lavoro, ma non può essere sola. Il Fondo di Stabilità deve intervenire al più presto. Intanto, bisogna procedere verso la mutualità parziale e progressiva dei debiti dei paesi dell’euro, per esempio con l’emissione di eurobond fino al 60% dei Pil com’è previsto nei trattati. L’Ue dovrebbe anche lanciare un prestito di 20 miliardi di euro per investimenti di ricerca, infrastrutture, sviluppo sostenibile. Gli Stati devono praticare il rigore, l’Unione europea il rilancio. Lo slogan non è mio, ma di Tommaso Padoa-Schioppa».
L’Italia è diventata l’anello debole dell’Eurozona?
«La situazione dell’economia italiana è sempre la stessa, con uguali forze e debolezze. Il problema dell’Italia è il malgoverno. Ma la preoccupazione di far avanzare l’Europa deve essere messa davanti a quella di parte. L’Europa deve dunque aiutare l’Italia, a prescindere da chi siede al governo».
I piani di rigore imposti da Bruxelles non rischiano di rendere ancora più impopolare l’Europa?
«Dall’inizio della crisi della Grecia, ci sono degli economisti che sostengono che bisogna fare uscire il paese dall’euro e ristrutturare il debito. Io invece sono convinto che una svalutazione renderebbe i greci più poveri di quanto non potranno essere se continueranno il loro piano di risanamento».
La crisi economica penalizza la sinistra e la corsa socialista verso l’Eliseo?
«Non c’è nulla di automatico. E’ vero che attualmente i socialisti in Europa attraversano difficoltà , e quasi ovunque sono all’opposizione. Ma sono convinto che andiamo verso un risveglio se la sinistra saprà incarnare la speranza di una società migliore e più giusta. Il partito socialista francese lo sta già facendo. Per la prima volta da tempo, ha presentato un programma unitario, ragionevole e coerente. Ripongo la mia fiducia nella prossima scadenza elettorale».
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