“Il voto è diretto solo ai politici l’America ha retto colpi peggiori”
ROMA – «Le agenzie di rating si sono assunte un ruolo di supplenza: sono loro adesso a informare gli investitori sulla reale validità di un titolo, e sull’affidabilità del paese che le esprime. Questo per l’inadempienza delle classi politiche su entrambi i lati dell’oceano». Robert Engle, economista della New York University, ha vinto il premio Nobel 2003. A questa categoria appartengono, dice il prof, sia l’interminabile negoziato sul debito americano che i reiterati vertici europei per risolvere le insolvenze prima della sola Grecia, poi di Portogallo e Irlanda, «senza che si risolvesse nulla, e ora ci sono da salvare Spagna, Italia e forse, incredibile a dirsi, persino la Francia».
Cosa dobbiamo aspettarci alla riapertura?
«Beh, mi sorprenderei se andasse bene anche se gli operatori attendevano il downgrading. Non è, intendiamoci, un voto sull’America, che nessuno pensa che possa fallire: è un giudizio sull’attuale classe politica, maggioranza e opposizione. La colpa però la recano per intero i repubblicani: fin dal primo giorno dopo l’elezione di Obama un gruppo di congressmen chiamato Young Guns, giovani rivoltelle, pensi un po’ che nome rassicurante, si è messo al lavoro col solo scopo di “impallinare” il presidente, e già allora si identificò la scadenza dell’agosto 2011 come momento per l’imboscata. Poi è arrivato il Tea Party che a sua volta darebbe l’anima pur di liberarsi di un “socialista”, come dicono loro, oltre che afroamericano: sì, c’è persino il razzismo in questa manovra. Il tetto al debito era già stato rinnovato 55 volte dal 1964 ad oggi senza che mai succedesse nulla, ora si è giocato al massacro. Vogliamo dare la colpa a Standard & Poor’s?».
Ma ci sarà un vero crollo?
«Wall Street ha assorbito colpi peggiori. Paradossalmente, neanche sui Treasury bonds si scatenerà un sell-off, oltre alle vendite “forzate” che però non superano lo 0,4% dei 10mila miliardi in circolazione, perché c’è la fuga verso la qualità , e i Treasuries, lo si creda o no, la rappresentano. I precedenti sono confortanti: quando il Canada perse la tripla A nel ‘93 (poi l’ha recuperata) la Borsa salì del 15% in un anno, in Giappone nel ‘98-99 la crescita è stata del 25%».
Il suo collega d’istituto Nouriel Roubini, che di solito non eccelle in ironia, è stato meno tenero verso le agenzie.
«Diciamo che devono recuperare la credibilità persa con i mancati allarmi del 2008. Lo fanno con puntiglio, ma si può dire che sbaglino, col debito al 100% del Pil? Quello che non dicono è che era al 40% con Clinton, e l’avanzo primario era tale che era in corsa per essere riassorbito. Poi è arrivato Bush con i suoi sgravi fiscali, e infine le guerre che hanno divorato in questi anni 1000 miliardi».
Lei diceva anche l’Europa ha pasticciato con i debiti.
«La risposta comune è stata lenta, scadente e a volte controproducente. Tutto poteva essere gestito molto meglio in un’ottica di vera solidarietà e buona volontà comune. Vedremo ora, con il nuovo corso, se non è ancora troppo tardi».
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