“Gheddafi è a Sirte dentro un bunker” la Nato bombarda la città  del Colonnello

by Sergio Segio | 27 Agosto 2011 11:27

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Brega. Avanzano lentamente, simili a ciclopici coleotteri di ferro, i pochi carri armati di cui dispone l’esercito delle forze democratiche di Bengasi. Questi che sfilano quasi arrancando al check-point di Brega erano gli ultimi rimasti a difesa della capitale della Cirenaica. Ma il comando militare degli insorti ha deciso di muovere anch’essi verso Sirte, baluardo delle truppe lealiste.
È a Sirte che, a sentire l’Eliseo, Muhammar Gheddafi si sarebbe rifugiato nelle ultime ore mischiandosi tra gli uomini della sua tribù, fedelissimi alleati che lo sostengono e lo proteggono da 42 anni.
Altissimi in cielo, luccicano puntini d’argento, quasi impossibili da scorgere come stelle in pieno giorno. Sono i Tornado britannici che, dopo aver lanciato nella notte scorsa i loro missili di precisione sul vasto complesso fortificato della città  dove il Colonnello vide la luce, sorvolano adesso l’ampio “fronte orientale”, per incutere coraggio, se mai ve ne fosse bisogno, agli shabab, i giovani combattenti di Bengasi. «Stanno facendo un po’ di pulizia», dice il portavoce del Consiglio nazionale di transizione, Ahmed Omar Bani. «Stasera (oggi per chi legge, ndr) o al massimo domattina attacchiamo. Stiamo aspettando il via da parte dei nostri che si sono infiltrati nella città  del raìs». Ma gli insorti aspettano forse il calar del sole, e l’arrivo della “Notte del Destino”, che precede il 27esimo giorno di Ramadan, in cui è detto che tutti i sogni si realizzano, che per molti libici significa soltanto catturare il Colonnello.
È dunque pronta l’offensiva verso Sirte. La città  è stata circondata da un paio di giorni da un migliaio di shabab, i quali dovranno sfondare il muro delle più agguerrite truppe lealiste della Libia, forti queste di 1500 soldati. Ora, anche se negli ultimi due mesi i giovani bengasini sono stati addestrati alla guerra da istruttori italiani, inglesi e americani, i militari del Colonnello sono per lo più miliziani di lunga esperienza, e per i quali quella che sta per scoppiare sarà  davvero l’ultima battaglia. Tra di loro ci sono sia gli uomini di ruolo nelle caserme di Sirte, sia tutti quelli che lì hanno riparato dopo le ultime sconfitte, in Tripolitania ma anche nel contesissimo porto petrolifero di Brega.
L’importanza che riveste per loro la difesa dell’ultima roccaforte è dimostrata dalla testardaggine con cui hanno rifiutato ogni proposta di negoziato avanzata nelle scorse ore dal comando di Bengasi per evitare combattimenti e ulteriori spargimenti di sangue, e l’accanimento con il quale continuano a sparare razzi Grad contro gli assalitori. Il generale degli insorti Omar Bukatif aveva chiesto all’esercito governativo di consentire che almeno le donne, i vecchi e i bambini potessero lasciare Sirte. Ma il suo omologo lealista gli ha retoricamente risposto che questi avrebbero combattuto al loro fianco, e che mai avrebbero abbandonato la loro città . «Sono parole vuote, come le loro minacce: i lealisti, adesso che cominciamo a conoscerli, non ci fanno davvero più paura», riprende Bani. «Ci vorranno al massimo tre giorni per conquistare Sirte».
Intanto, al check-point di Brega, approntato un paio di giorni di fa per fermare i giornalisti e gli shabab non irreggimentati, perché poco lontano si continua a combattere aspramente, continuano a passare Toyota cariche di armi e di uomini sorridenti. È forse giunta fino a loro la notizia che Gheddafi potrebbe nascondersi a poche decine di chilometri da lì. Prima del quotidiano Le Parisien, che ieri riprendeva la supposizione di fonti vicine al presidente Nicolas Sarkozy quanto al ritorno del Colonnello tra la tribù a lui più fedele, la stessa ipotesi era stata ventilata due giorni fa a Roma da Abdessalam Jalloud, ex numero due del regime.
Ieri pomeriggio anche il ministro degli Esteri Franco Frattini ha dichiarato che sulla presenza di Gheddafi a Sirte «ci sono seri indizi, che vanno ben al di là  di un semplice sospetto». Il titolare della Farnesina ha spiegato che questi indizi derivano da quello che hanno dichiarato coloro che si trovano lì. Infatti, qualcuno avrebbe visto il raìs aggirarsi per le strade della sua città . «Mi pare evidente che se le azioni si stanno concentrando su Sirte, che è una delle poche aree libiche ancora non recuperate alla libertà  da Consiglio nazionale di transizione, ciò faccia pensare che ci possa essere un serio indizio sulla presenza di Gheddafi in loco». Ma il motivo più evidente è forse un altro: l’accanimento della difesa delle truppe lealiste, anche dopo la promessa di immunità  formulata ieri dal leader delle forze democratiche libiche, Mustafa Abdel Jalil, il quale ha dichiarato che nel Paese «c’è spazio per tutti, a condizione che le armi tacciano immediatamente e si cerchi ricostruire tutti assieme il nostro futuro». Tuttavia, secondo il ministro della Giustizia di Bengasi, Mohammed al-Alaqi, Gheddafi si nasconderebbe in un quartiere di Tripoli, circondato dagli insorti.
Fermiamo uno shabab in mimetica e con occhiali di marca. Si chiama Ahmed. Prima della rivolta di febbraio gestiva assieme al fratello una boutique di abbigliamento. Gli chiediamo se è d’accordo, una volta catturato Gheddafi, di spedirlo all’Aja perché venga giudicato dalla Corte internazionale. Risponde Ahmed: «No, perché sarebbe un’ammissione di impotenza. E poi credo che la nuova Libia sarà  un Paese democratico, e quindi in grado di processare anche il peggiore dei criminali». Difficile dargli torto.

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