Prodi: “È la ricevuta fiscale il baluardo della democrazia”
I mercati colpiscono «i deboli» e noi siamo indifesi come «la Croce Rossa». L’unica nota positiva è la «supplenza» di Napolitano. Del resto lo sguardo dell’ex premier è rivolto proprio al Quirinale e alla scadenza del 2013. «Continuare a non creare davvero un sistema elettronico per controllare i pagamenti e i guadagni – avverte – , vuol dire portare alla rovina l’Italia. La democrazia si difende con la ricevuta fiscale. Noi abbiamo di fronte due grandi problemi che ci fanno diversi dalle altre nazioni europee: la criminalità e l’evasione fiscale. Se non si pone un freno a queste due piaghe, se non si mettono in campo misure strutturali, non c’è scampo. E io questa linea nella manovra del governo non la vedo proprio. E se non cambiamo fra tre anni siamo allo stesso punto».
Il Professore non vede alcun progetto nell’esecutivo. «Quando ho visto che le cassette di sicurezza in Svizzera si stavano riempiendo, non ce ne era più una libera, ho capito tutto». «La ragione scatenante dell’attacco della speculazione all’Italia – dice da Novellara, campagna reggiana, fra la tribù di figli e nipoti con cui ha condiviso anche la vacanze al mare di Toscana – è stata la spaccatura nel governo, la lotta continua tra Berlusconi e i suoi. Le divisioni nella maggioranza e fra i ministri continuano. I mercati sono sensibili alla politica debole, all’insicurezza dei governi. E la politica italiana è un caos enorme. Ognuno tira la manovra come gli torna utile. Per fortuna, abbiamo avuto una sostituzione di lusso con il presidente Napolitano. La speculazione però si muove come gli Orazi e i Curiazi, vede chi è il più debole e lo infilza. L’Italia non aveva una politica economica, non si sapeva dove andasse. Difficile dire che le cose siano cambiate, siano avviate sulla via del risanamento. Lo spero, da italiano. Ma la democrazia si difende con una cultura di governo che non vedo». Il Professore scuote la testa. «Attaccare l’Italia è stato come sparare sulla Croce Rossa».
Prodi torna a colpire, la sua non è una nuova discesa in campo, è una lunga marcia che potrebbe concludersi nel 2013 al Quirinale. Non solo è importante quel che dice, ma chi incontra. Parla alle università , nelle università , nelle banche. Tiene rapporti internazionali, accademici, economici, istituzionali. Discorsi alti, con zampate terrene. È stato ricevuto da Giorgio Napolitano un mese fa, alla radio del Sole 24 ore ha ricordato, ascoltato e riverito, che nel suo governo (quello che ama, 1996-98; il secondo 2006-2008 è stato un tormento) c’erano l’attuale presidente della Repubblica, il predecessore Carlo Azeglio Ciampi, il nume scomparso Nino Andreatta. «Si lavorava insieme, in modo collettivo. Mi ricordo benissimo le lunghissime discussioni. C’era una squadra. Facevamo ore e ore di simulazioni con i funzionari». Tutto per contrapporlo al governo del Cavaliere, dove «ognuno ha la sua tesi e un’opinione diversa».
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