by Sergio Segio | 18 Agosto 2011 5:51
Siamo in una tempesta di indignazione contro i “privilegi” dei rappresentanti del popolo, a partire anzitutto dai parlamentari. Al coro che si leva contro di loro, si unisce quello contro i titolari di pensioni troppo elevate, buonuscite da capogiro, e via dicendo, fino ad arrivare a quanti beneficiari, spesso in vero poveracci senza arte né parte, di piccole rendite quali le pensioni attribuite ai falsi invalidi. Sia chiaro: i privilegi verso i quali giustamente più ci si deve indignare sono quelli di cui godono i potenti, i ricchi o assai benestanti, che usano del loro potere per difenderli quanto più possibile. Accanto ai titolari di privilegi legittimati dalla legge vanno collocati tutti coloro che, grazie alla “tolleranza” di un potere politico troppo compiacente, godono del privilegio illegale di privare mediante l’evasione fiscale il paese di immense risorse che risanerebbero i bilanci pubblici e alzerebbero di molto il livello dei servizi collettivi. Orbene, è naturale che – in un momento di pesantissima crisi economica nazionale e internazionale nel quale i governanti si apprestano a imporre grandissimi sacrifici alla popolazione, colpendo in primo luogo gli strati meno abbienti – lo sguardo si volga anzitutto ai politici chiedendo loro di dare il buon esempio tagliando decisamente i costi della politica.
Che cosa vuol dire propriamente privilegio? Ce lo dice la radice latina, privilegium, che significa «legge o disposizione che riguarda una singola persona» o più persone di analogo status. Un tempo i grandi privilegiati erano gli alti esponenti del clero e i nobili di sangue; oggi sono i figli di una democrazia e di un sistema economico e sociale che presentano forti segni di degenerazione. Nel 2005 due parlamentari e giuristi diessini, Cesare Salvi e Massimo Villone, pubblicarono un libro che suonò l’allarme, dal titolo significativo Il costo della democrazia. Essi misero a nudo come il costo della politica fosse diventato eccessivo, segnato da ingiustificabili rendite alle quali occorreva mettere mano. Il saggio fece un certo rumore, ma lo struzzo cui era destinato riuscì senza sforzo a digerire il rospo. Seguirono poi clamorose inchieste di carattere giornalistico che contribuirono in maniera determinante a rendere sempre più acuta l’attenzione verso l’eccesso di benefici di cui godevano i politici. Vorrei ricordare in tema delle tante variazioni del malcostume del ceto politico quelle condotte da Report, la coraggiosa trasmissione televisiva guidata da Milena Gabanelli.
Chi voleva sapere, ormai era in grado di sapere. Ma contrariamente alla celebre sentenza secondo cui «sapere è potere», in materia dei privilegi dei suoi rappresentanti il popolo detto sovrano poteva ben poco fino a che non scoppiasse un incendio sotto le loro stesse poltrone. L’incendio è arrivato e i privilegiati, che hanno il rilevante attributo di essere pompieri di se stessi, investiti dall’indignazione si sono finalmente posti il problema e hanno dato inizio a opere di spegnimento che si vedrà quanto energiche e risolutive, a iniziare dal proposito di procedere alla riduzione delle proprie retribuzioni e del proprio numero. Certo, e del tutto a ragione, Salvi e Villone avevano difeso il fatto che la democrazia ha un costo che non si può ignorare ed evitare, una componente del quale sono le retribuzioni dei parlamentari. I Parlamenti dei notabili, nella prima stagione del liberalismo quando il suffragio era riservato ai ceti alti e medi, costavano ovviamente assai meno dei Parlamenti fondati sui partiti di massa nell’era della democrazia. Quei notabili erano proprietari terrieri, finanzieri, industriali, grandi intellettuali e agiati professionisti, che non avevano bisogno dello stipendio parlamentare e addirittura lo reputavano disdicevole in quanto tale da minacciare la loro autonomia personale. Non a caso furono i deputati poveri che rappresentavano gli strati popolari a chiedere e ottenere infine di essere retribuiti per poter svolgere il loro ruolo.
Un’origine quanto mai nobile avevano poi avuto dal canto loro le immunità parlamentari, sorte per porre i rappresentanti del popolo al riparo dalle possibili persecuzioni legate all’esercizio delle loro funzioni. Sennonché, come noto, il nostro Parlamento ha finito per diventare un rifugio di inquisiti che resistono non già a persecuzioni politiche ma ad accuse di corruzioni e abusi vari di potere.
Dai sani e giusti principi è seguita insomma in Italia, con una rapida accelerazione negli ultimi decenni, la degenerazione. Si è giunti ad una situazione per cui i politici italiani nelle istituzioni rappresentative nazionali ed europee (ma anche regionali, come mostra il caso scandaloso della Sicilia) si sono assegnati livelli retributivi tali da collocarli ai vertici nel continente, proprio mentre le finanze pubbliche andavano insesorabilmente peggiorando. Quanto poi al fronte giudiziario, la strenua difesa dei privilegi dei parlamentari ha dato corso agli spettacoli più indecorosi, seppure qualche breccia sia stata aperta nella fortezza. Bene, è giunto il tempo di tirare le somme. Il costo economico della democrazia non deve essere un costo che la screditi, così come la tutela delle immunità parlamentari non deve diventare la via all’impunità .
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