Pop Milano, scontro sull’aumento “Nessun rinvio, rispetteremo i tempi”

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MILANO – Vigilia rovente per il cda che domani licenzierà  la semestrale della Banca Popolare di Milano e, soprattutto, affronterà  l’argomento dell’aumento di capitale. «L’ordine del giorno del consiglio convocato per giovedì contiene la proposta di attuazione della delega all’aumento di capitale in parola», ha confermato ieri la banca. Conferma non banale, date le indiscrezioni circolate con insistenza su un possibile slittamento dei termini dell’aumento. Bpm ieri è intervenuta con una nota in cui «conferma che l’iter per l’emissione dell’aumento di capitale fino a 1,2 miliardi prosegue nei termini e nei tempi secondo il calendario a suo tempo definito». Il 13 settembre potrebbe essere il momento buono per determinare prezzo e ammontare preciso dell’operazione, il lunedì successivo quello della partenza dell’aumento.
Eppure, nonostante le secche precisazioni della banca, qualche perplessità  tra i consiglieri potrebbe esserci. E, del resto, dal punto di vista tecnico l’operazione è impervia: ieri il titolo è andato particolarmente male proprio per i rumors sull’aumento e alla fine ha chiuso con un calo del 4,89%, maglia nera tra i big. Ma anche a prescindere dalla giornata, si sta parlando di una banca che capitalizza 653 milioni di euro e che si appresta a chiederne al mercato fino a 1,2 miliardi. I vertici della banca probabilmente sperano in uno “sconto” da parte di Bankitalia, magari in un’asticella piazzata a quota un miliardo; ma si tratta pur sempre di un aumento monstre rispetto al valore di Borsa. Anche la seconda parte dell’operazione di rafforzamento di capitale, quella legata all’esercizio del convertendo (che dovrebbe partire subito dopo l’aumento) al momento ha condizioni sideralmente lontane da quelle di mercato: il prezzo di esercizio infatti è di 2,7 euro contro una quotazione di ieri di 1,5740 euro. Dunque, per i risparmiatori che hanno in mano le obbligazioni – obbligatoriamente da convertire in azioni – si tratta di una perdita molto forte e che espone la banca a quei «rischi reputazionali» stigmatizzati da Via Nazionale.
L’aumento principale sulla carta è già  tutto sottoscritto, visto che c’è un consorzio di garanzia capitanato da Mediobanca. Ma questo non significa che non ci siano problemi, perché il rischio di inoptato si aggrava con la crisi finanziaria in atto. Le alternative però sono altrettanto in salita: vendere i gioielli di famiglia è difficile, perché sono spesso a prezzi di carico molto forti: la Legnano ad esempio fu pagata un miliardo di euro, quasi il doppio di quanto vale oggi in Borsa tutta la Bpm. L’ipotesi Banca Akros, che qualche volta ritorna nei rumors di mercato, cozza invece soprattutto con il fatto che l’attività  della merchant bank è molto correlata a quella della banca. Insomma, il rebus è difficile da sciogliere. Ma l’ipotesi di soprassedere, che forse tenta qualche consigliere, è ardua viste le richieste di irrobustimento patrimoniale volute da Bankitalia.


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