Pil e debiti, il derby Italia-Spagna

by Sergio Segio | 6 Agosto 2011 7:16

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Così lontani, così vicini. Il titolo di un vecchio film di Win Wenders sembra la migliore sintesi del nostro rapporto con la Spagna. Vicini e lontani allo stesso tempo i due Paesi lo sono stati spesso. Come nella famosa querelle del sorpasso a fine 2007 quando un Luis Zapatero galvanizzato da tassi di crescita dell’economia che effettivamente facevano invidia a molti — e anche a noi — aveva annunciato urbi et orbi che la ricchezza pro capite degli spagnoli aveva superato quella degli italiani. Tutto si giocava un po’ sui malintesi e il premier Romano Prodi non mancò di mettere, a nome di tutti, i puntini sulle i. Il Pil italiano ancora oggi (dati 2010) è 1.548,8 miliardi di euro contro i 1.062,5 della Spagna. Balla un 50%. E anche sul Pil pro capite ci avvantaggia un 13%.
Zapatero aveva sapientemente giocato su una discussa e aleatoria valutazione «a parità  di potere di acquisto» . Ma passò il messaggio semplificato che la Spagna fosse più grande dell’Italia, più ricca, una leggenda metropolitana che ancora aleggia tra i distratti. Marketing sui mercati e orgoglio ferito. Vicini e lontani lo siamo stati anche ieri, in termini di spread. Un derby non su chi sta meglio, purtroppo, ma su chi starebbe meno peggio. L’indice che misura il rischio Paese dell’Italia ieri ha superato quello dello Spagna. Difficile fare filosofia e passare oltre o limitarsi a incrociare le dita. Per i due Paesi significa dover pagare il 4%oltre a quanto remunerato dai Bund tedeschi per rifinanziare il debito governativo. L’incendio va spento subito e ovunque.
Eppure non sono mancati gli indizi parzialmente positivi: ieri, per esempio, l’intervento della Banca centrale europea per acquistare titoli del debito pubblico portoghese e irlandese sarebbe andato a netto vantaggio delle banche spagnole che hanno potuto liberarsi di questi buoni «hot» aumentando allo stesso tempo la propria liquidità . Dunque, una situazione contingente. Mentre la ripresa in Borsa soprattutto delle azioni legate alle banche italiane ha testimoniato che non esisterebbe un caso Italia, ma un problema generalizzato dell’economia. Da circa 24 ore nelle sale dei grandi gestori si tirerebbe un minimo il fiato proprio perché si sarebbe allontanato il rischio di essere tagliati via stile zavorra. D’altra parte i numeri vengono in nostro soccorso come nel caso della querelle. I dati macroeconomici sono a vantaggio dell’Italia: in primis la disoccupazione.
 I dati Eurostat comunicati solo da pochi giorni hanno segnalato una disoccupazione spagnola in giugno al 21%. Tradotto in termini meno asettici e più brutali, una persona su cinque non ha un lavoro. Si tratta del peggiore dato dell’area euro che trova conferma in uno sconfortante 45,7%di disoccupazione negli under 25 causato da quella stessa ultraflessibilità  nel mondo del lavoro che solo pochi anni fa era una potente molla di crescita per la Spagna. La disoccupazione italiana, da non sottovalutare, è però all’ 8%(9,9 quella media dell’area Euro). Ancora: come ha sempre sottolineato il ministro Tremonti, se è vero che il nostro debito pubblico — infelice eredità  del secolo scorso — è pari al 119%del Pil, il deficit è però del 4,6%. Per la Spagna i valori sono inversi: il 60,1%del Pil per il debito ma il 9,2%per il deficit governativo. Insomma, una migliore eredità  ma un minor rigore che infatti i mercati, fino a pochi giorni fa, hanno penalizzato rispetto al caso Italia. Ma c’è un altro dato che gli analisti tengono sott’occhio e che dovrebbe fare la differenza. È il debito dei privati.
La Spagna, stimolata e resa ottimista da quella crescita che ora appare al palo scorgendo i tanti cantieri edili delle grandi città  della penisola iberica, si è indebitata molto: famiglie e aziende. Il rapporto tra debito privato e Pil si aggira secondo dati Standard &Poor’s sopra l’ 85%. Un valore che per gli italiani, culturalmente delle formichine, è ben più ridotto: il 38%. Insomma, in caso di crisi sostenuta, le tensioni si amplificherebbero molto di più in Spagna. Non certo un buon motivo per non intervenire subito e in maniera incisiva anche in Italia.

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