Perché l’informazione finisce sotto tiro

by Sergio Segio | 26 Agosto 2011 6:25

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Al di là  della verifica dei fatti, quest’ultimo episodio denuncia la difficoltà  di fare informazione e i rischi che corrono i giornalisti nei luoghi di conflitto.
Oltre che a testimoniare l’anarchia che regna a Tripoli.
I giornalisti non sono più considerati testimoni ma parte in causa. Questo mette a repentaglio la loro vita. E anche la possibilità  di informare. Se stai con i ribelli è difficile verificare quanto della loro propaganda corrisponde alla realtà , se eri arrivato a Tripoli con il visto di Gheddafi era difficile sconfinare oltre il percorso delimitato dal regime.
Negli ultimi giorni le carte si sono ulteriormente confuse e i giornalisti della Cnn sono stati rinchiusi all’hotel Rixos mentre i quattro giornalisti italiani, rapiti nel centro di Tripoli, vicino alla piazza Verde, in un appartamento da dove potevano guardare dalle finestre e hanno potuto, fortunatamente, fare qualche telefonata.
La Libia è diventata l’ultima trappola per chi cerca di narrare gli sviluppi di una guerra e chi li aiuta, come l’autista dei quattro giornalisti italiani, non ha via di scampo: è stato ucciso a freddo davanti ai loro occhi. La guerra resta tra libici, nonostante gli interventi occidentali dal cielo e ora anche da terra.
Nell’era della globalizzazione finora dalla Libia abbiamo avuto frammenti di notizie, mai il quadro completo. Limite dei giornalisti? Certamente no. Però non possiamo esimerci da ricercare le origini e le ragioni di questa «censura» sui conflitti recenti, dall’Iraq in poi.
L’istituzionalizzazione dei giornalisti «embedded» ha rappresentato un salto di qualità  nella militarizzazione dell’informazione e ha trasformato i giornalisti (indipendentemente dai loro intenti) da testimoni a parti in causa.
Con i lealisti o con i ribelli, poco importa, non si è più rispettati per il mestiere di far conoscere al mondo quello che sta succedendo. Da qui il pericolo di finire nella mani dell’una o dell’altra parte. O anche di bande che vogliono approfittare della situazione.
La guerra è sempre più sporca e l’Italia vi ha contribuito. Prima osannando Gheddafi e poi i suoi oppositori, in nome esclusivamente di interessi energetici o strategici. Condannabile l’intervento Nato (non si abbattono i dittatori con una guerra che crea, tra l’altro, un pericoloso vuoto di potere e scatena le peggiori dinamiche interne) ma ancor più condannabile quello di un’ex potenza coloniale. Cosa avrebbe detto il mondo se la Francia fosse tornata a fare la guerra in Algeria?
Il tutto avviene mentre prima Sarkozy e poi Berlusconi ricevono Jibril capo del Cnt come nuovo padrone di Tripoli, prima che la guerra sia finita, che Gheddafi sia caduto e che il Consiglio nazionale di transizione abbia avuto una qualsiasi legittimazione. Scongelare fondi, promettere aiuti, assicurarsi i contratti sul petrolio non faciliterà  il processo democratico in Libia, anzi è una conferma che la lotta non era per la democrazia ma per il potere.

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