by Sergio Segio | 12 Agosto 2011 7:25
ROMA – La corte di Cassazione ha deciso: la parte dell’inchiesta sulla P4 che riguarda il generale della Guardia di Finanza Michele Adinolfi, indagato dalla Procura di Napoli per rivelazione di segreto istruttorio e favoreggiamento, sarà trasferita alla Procura di Roma perché i presunti reati sarebbero stati commessi nella capitale e dunque i pm di Napoli non sarebbero competenti a giudicare. Per il generale Adinolfi e per i suo legale, Alessandro Musco che aveva fatto ricorso in Cassazione proprio sulla competenza a giudicare il suo assistito, è una parziale vittoria anche se la parte più consistente dell’ indagine dove sono coinvolti il deputato del Pdl ed ex magistrato Alfonso Papa (finito in carcere dopo il voto della Camera dei Deputati) ed il faccendiere Luigi Bisignani (agli arresti domiciliari), rimarrà ai pm napoletani, Woodcock e Curcio.
Tutti gli atti relativi alla ormai famosa cena che si sarebbe tenuta nella foresteria dell’agenzia di stampa Adn Kronos in cui il generale Adinolfi avrebbe detto al presidente dell’agenzia Giuseppe Marra di avvisare Bisignani che sul suo conto erano in corso delle indagini da parte dei magistrati napoletani, dovranno dunque essere mandati alla procura di Roma. Il magistrato che coordinerà questa parte dell’inchiesta è il pm romano Alberto Caperna, già titolare di accertamenti sugli altri atti della P4 inviati per competenza da Napoli nella capitale.
La decisione della Cassazione segna un punto a favore della difesa di Adinolfi e le motivazioni della Suprema Corte “bacchettano” i pm napoletani. Nelle due pagine di motivazioni del Procuratore generale della Cassazione, Francesco Mauro Iacovello, viene infatti sottolineato «non esiste nel processo penale una “vicenda” ma esistono reati da accertare». Ed ancora: al Generale Adinolfi sono contestati due reati in continuazione, la rivelazione di segreto ed il favoreggiamento personale: «ma il reato più grave (il favoreggiamento) è stato certamente commesso a Roma (dato incontroverso per lo stesso pubblico ministero di Napoli)». E proprio in conseguenza di quest’ultima affermazione, la procura generale della Cassazione critica i magistrati napoletani. «Per il pm – scrive infatti Iacoviello – questo dato sul piano giuridico “nulla conta”. Per questo ufficio (la Corte di Cassazione ndr) “conta tanto”. Perché è la legge (art. 8, 12 e 16 cpp) che lo fa “contare”».
Non è dello stesso avviso il procuratore di Napoli Giovandomenico Lepore, secondo il quale, invece, la Suprema Corte «ha confermato la correttezza dei magistrati napoletani» tanto che «l’impianto dell’inchiesta, con particolare riferimento alla competenza, resta solidissimo».
La procura generale della Cassazione, dice ancora Lepore, «ha confermato la competenza della procura di Napoli ad indagare per tutti i reati ipotizzati nell’inchiesta P4, con una sola eccezione: i reati di rivelazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento personale a carico del capo di Stato Maggiore della Gdf, generale Michele Adinolfi». Attendo di leggere le motivazioni del provvedimento, che per larghissima parte confermano la correttezza del nostro operato».
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