by Sergio Segio | 19 Agosto 2011 6:43
DAMASCO.La pressione cresce, sul presidente siriano Bashar al Assad; sanzioni contro il settore petrolifero, l’annuncio di un rapporto del Consiglio dell’Onu per i diritti umani (che potrebbe preludere a una chiamata in causa della Corte penale internazionale), e poi il pronunciamento dell’amministrazione Usa, che per la prima volta chiede, esplicitamente, che Assad si faccia da pare.
Tutto questo ieri, nel giorno in cui Assad ha telefonato al segretario generale dell’Onu Ban Ki moon per dichiarare la sua buona volontà . «Tutte le operazioni militari e di polizia contro le città delle proteste sono terminate», ha dichiarato il presidente siriano – rispondeva così all’appello di Ban, che gli aveva chiesto «la fine immediate delle violenze contro i civili e degli arresti di massa». Bashar ha inoltre ribadito l’intenzione di procedere verso significative riforme, tra cui modifiche costituzionali ed elezioni legislative, ha riferito un portavore delle Nazioni Unite. Ban ki Moon ha espresso la necessità di implementare le riforme senza intervento militare, di permettere un’indagine dell’Onu sulla repressione e l’accesso alle organizzazioni umanitarie.
Bashar ha ripetuto l’impegno per le riforme in un incontro del vertice del partito Baath, dove ha parlato di «dignità e sovranità del paese».
La notizia della fine delle operazioni militari e di polizia ha avuto grande risonanza anche a Damasco: ma secondo gli attivisti è stata smentita dai fatti, poiché nello stesso giorno 25 civili sono stati uccisi dalla polizia, di cui almeno 9 a Homs, una delle città roccaforti delle proteste. Dall’inizio di Ramadan si è intensificata la repressione violenta delle proteste in corso in Siria da cinque mesi, che secondo attivisti per i diritti umani hanno provocato oltre 2.000 vittime e migliaia di arresti. Dopo gli interventi a Hama e Deir Az Zoor, la Latakia ‘esercito e la marina hanno attaccato i quartieri delle proteste (a maggioranza sunnita), tra cui il campo palestinese di Raml al Filistini, provocando decine di vittime e la fuga di almeno 5000 palestinesi secondo l’Unrwa (l’ente dell’Onu per i rifugiati palestinesi). Mentre la Tv siriana ha mostrato immagini di carrarmati e soldati che si allontavano da Hama e Deir Az Zoor, attivisti denunciano che forze di sicurezza e miliizie para-militari e pro-governative sono ancora attive.
«Ci fanno vedere folle che inneggiano ai soldati ma noi sentiamo che non hanno l’accento di Deir Az Zoor, è gente portata da fuori», commenta Ghassan, un’oppositore. L’annuncio di Bashar sulla fine delle operazioni militari sarebbe stato dettato dalle pressioni internazionali e dalla possibità che i vertici siriani siano deferiti alla corte di giustizia internazionale.
Un team investigativo dell’Onu, a cui non è stato permesso l’accesso in Siria ma ha intervistato vittime e testimoni, avrebbe individuato nella repressione delle proteste, gravi violazioni dei diritti umani e attacchi alla popolazione civile che potrebbero costituire crimini contro l’umanità .
Ma la fine delle operazioni militari sarebbe dettata anche dal fatto che le autorità di Damasco, dopo la massiccia offensiva di Ramadan, confidano di aver messo sotto controllo le proteste. Manifestazioni continuano a tenersi in moltissime località , soprattutto dopo le preghiere della sera, il taraweeh, ma non c’è stata quell’esplosione che alcuni si attendevano durante il Ramadan. «Dopo l’attacco dell’esercito nelle città le proteste non riprendono come prima, come dimostra il caso di Daraa. Gli arresti di massa e le torture generano rabbia nella popolazione ma anche paura» afferma Wissam Tarif, attivista dei diritti umani – che accusa di immaturità politica l’opposizione siriana, divisa e incapace di capitalizzare sulle proteste delle strada. Le immagini delle operazioni militari dell’esercito siriano ad Hama, Deir Al Zoor e negli ultimi giorni a Latakia hanno contribuito a far crescere la condanna internazionale.
Ieri è arrivato il passo, annunciato, dell’amministrazione Usa: la richiesta di dimissioni di Bashar al Assad. In una nota scritta Obama ha detto: «I siriani devono determinare il proprio futuro ma Assad glielo impedisce» e «per il bene dei siriani, Assad deve farsi da parte», annunciando un nuovo round di sanzioni contro l’importazione di petrolio e gas siriano. Francia, Gran Bretagna e Germania hanno seguito a ruota, dichiarando che Assad ha perso legittimità di fronte al suo popolo e chiedendone le dimissioni. Anche l’unione europea annuncia sanzioni contro il settore petrolifero ed energetico: significative perché Francia, Germania e Italia sono i principali acquirenti di greggio siriano. Anche Tunisia e Svizzera hanno richiamato i propri ambasciatori per consultazioni.
Bashar Al Assad ha dimostrato di non cedere a pressioni, neanche da paesi «vicini» come la Turchia, ma il governo siriano appare sempre più isolato internazionalmente – salvo ormai per l’alleato iraniano.
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