Obama, compleanno amaro tra gli spettri di recessione e i malumori della base

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NEW YORK – «L’economia americana è indebolita, dobbiamo raddoppiare gli sforzi per rivitalizzarla». È con questo allarme che Barack Obama affronta un compleanno amaro: 50 anni compiuti oggi tra la sfiducia dei mercati, la disaffezione della sua base di sinistra, l’incubo di una ricaduta nella recessione. Per qualche ora cercherà  rifugio e distrazione nella sua Chicago, dove «il giovane presidente con troppi capelli bianchi» oggi trascorre la festa. Cercherà  di consolarsi ricordando due precedenti illustri nella galleria storica dei Giovani Presidenti Progressisti, passati velocemente attraverso lo stesso ciclo – grandi aspettative, grandi delusioni – cioè John Kennedy e Bill Clinton. Magra consolazione. Il mito kennediano fu troppo breve per consumarsi nel confronto con la realtà , e comunque l’American Dream era in piena fioritura negli anni Sessanta. Clinton non ebbe guerre né tragiche recessioni in eredità  dal predecessore, si godette la bolla della New Economy e la fase più gloriosa (per il capitalismo Usa) della globalizzazione. Obama concentra nel suo mandato una crisi della leadership americana nel mondo, un’emergenza finanziaria, e una difficoltà  di idee che attraversa tutte le sinistre occidentali.
Alla festa del compleanno arriva con troppe ferite aperte, recentissime, accumulate negli ultimi giorni. Gli attacchi durissimi da sinistra, il marchio della «capitolazione totale» con cui i commentatori liberal da Paul Krugman a Robert Reich hanno bocciato la sua intesa anti-default coi repubblicani.
Accuse opposte e simmetriche gli arrivano da destra, riassunte così dal Wall Street Journal: «L’Obama-keynesismo non ha funzionato, per due anni Washington ha usato la spesa pubblica come motore di un rilancio, ed eccoci a crescita zero». Tutti sembrano avere una parte di ragione e solo lui sembra avere tutti i torti. I mercati hanno salutato il suo “capolavoro negoziale” sul debito pubblico con la peggiore serie consecutiva di ribassi dalla grande crisi del 2008. La ragione non sta tanto in un difetto specifico di quell’accordo, ma nel disastroso contesto generale. Lo deve riconoscere un’authority indipendente, il Congressional Budget Office: l’intesa bipartisan sul debito è già  travolta dalla realtà , i conti di quell’accordo sono tutti sballati.
Presupponevano una crescita del Pil del 3,1% nel 2011 e del 2,8% nel 2012. Gli ultimi dati indicano che è impossibile: nel primo semestre la crescita è stata appena dello 0,8% e a questo punto ci vorrebbe uno scatto quasi “cinese” per recuperare nella seconda metà  dell’anno. Senza crescita il debito pubblico diventa incurabile. Perciò Moody’s anche dopo la storica intesa tra Obama e i repubblicani ha dovuto mantenere un «negative outlook», Standard&Poor’s un «negative watch» sul debito di Washington: i conti non tornano. Lo spettro del «doppio tuffo», della ricaduta nella recessione, è annunciato in questi giorni dall’arretramento dei consumi (il più grave dal settembre 2009), dall’impennata dei licenziamenti (ai massimi degli ultimi 16 mesi). Il presidente ha salutato il Congresso che andava in vacanza implorando «una nuova manovra per il sostegno dell’occupazione». Ma con che risorse? E con quali voti? La destra che controlla la Camera vuole solo smantellare lo Stato sociale. Ci vuole tanto ottimismo per sperare che con questi numeri al Congresso, esca fuori un pacchetto significativo a sostegno dell’occupazione.
Nel frattempo Obama vede addensarsi le incognite dall’estero, politiche ed economiche: la «sua» primavera araba sembra nello stallo; la stabilità  europea minacciata anche dalla crisi finanziaria dell’Italia; troppa inflazione in Cina e in Brasile rende un po’ meno solidi anche i mercati emergenti. In casa sua spunta un altro allarme-default, stavolta riguarda solo la Federal Aviation Authority che governa gli aeroporti: senza fondi in cassa, lascia a casa 4.000 dipendenti senza stipendio. Bloccati i lavori di manutenzione delle piste e altri servizi «non di emergenza», per ora si continua a volare. Questa crisi forse è temporanea, di certo piccola rispetto allo scampato default del Tesoro. Ma serve a ricordare la coincidenza con un altro anniversario: esattamente 30 anni fa Ronald Reagan minacciava di licenziare in tronco i 13.000 controllori di volo in sciopero. Quel braccio di ferro spezzò il potere sindacale, alterò in modo brutale i rapporti di forze nei luoghi di lavoro, aprì un’èra diversa nelle relazioni industriali.
L’anniversario del trionfo reaganiano che si sovrappone con il compleanno di Obama, indica il vincolo a cui questo presidente è sottoposto. La fortuna elettorale della destra ha avuto alti e bassi in questi decenni, Obama spera ancora di ricacciarla indietro nel novembre 2012. Ma nella realtà  sociale, il ciclo che fu aperto da Reagan non è mai finito veramente. Arrivato al giro di boa del mezzo secolo, i capelli bianchi di Obama sono anche la spia di questa fatica: conciliare le grandi speranze del 2008 e i veri rapporti di forze nella società  americana.


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