Negli Stati uniti si aprono tre indagini per «spezzare le reni» a Standard&Poor’s

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 Scherza con i fanti, ma lascia stare i fanti. Gli Stati Uniti – dopo il declassamento del giudizio sul proprio debito pubblico – hanno dichiarato guerra a Standard&Poor’s, finora l’unica agenzia (oltre all’intoccabile Dagong, cinese) ad aver tolto la «tripla A» ai treasury Usa.

In nemmeno 15 giorni ben tre inchieste sono state aperte da vari organismi statunitensi. Aveva iniziato il Congresso, ma l’iniziativa era stata considerata più propagandistica che reale. Ora però ha aperto un fascicolo il Dipartimento di giustizia – rivela il New York Times – per verificare se ci sia stato «conflitto di interesse» nel caso dell’assegnazione di giudizi molto positivi, ancora nel 2008, a una massa consistente di titoli rivelatisi «tossici» di lì a pochi giorni, contribuendo a ingigantire la crisi del 2008 (l’azienda più famosa è Lehmann brothers, banca d’affari giudicata «sicura» mentre già  gli impiegati riempivano gli scatoloni per andarse a casa definitivamente).
La voce da verificare è se diversi analisti dell’agenzia siano stati o no convinti a modificare i propri giudizi da «pressioni» del management di S&P. La questione non è di poco conto, perché il ruolo di «termometro» della febbre finanziaria assunto nei fatti dalle tre agenzie di rating (tutte Usa) a livello planetario regge se viene confermata l’assoluta autonomia degli analisti. Se invece – come da sempre si sospetta senza mai trovare però la smoking gun – si dimostra che le analisi sono orientate dagli interessi della proprietà  (per esempio, Warren Buffett ha avuto per anni quasi il 20% di Moody’s), la credibilità  ne uscirebbe annientata. E molte misure restrittive prese dai governi di mezzo mondo si rivelerebbero una scelta da gonzi (o complici), che portano i redditi dei propri cittadini in dote ai vampiri.Soprattutto, se fossero trovate prove, potrebbero a quel punto scattare cause legali di ogni tipo; che seppellirebbero S&P sotto le richieste di risarcimento.
Non basta. Una terza inchiesta – riporta invece il Financial Times – è stata aperta dalla Sec (il cugino potente della nostra Consob), autorità  che vigila su Wall Stree e le agenzie di ranting. In questo fascicolo sono indagate anche Moody’s e Fitch (che proprio ieri ha cercato di limitare i danni confermando agli Usa la «tripla A» con «outlook stabile»). L’ipotesi di reato è l’insider tranding, ovvero l’utilizzo di informazioni riservate per speculare in borsa). Non si sa se tra gli episodi sotto esame ci siia anche il downgrade del secolo, ma intanto la Sec ha chiesto la lista dei dipendenti al corrente della decisione prima che venisse resa nota. Difficile pensare che qualcuno di loro abbia comprato o venduto titoli su cui stavano «lavorando», perché sarebbe troppo facile incastrarli. Ma in fondo basta «soffiare» la notizia a qualcuno che ti possa esser molto riconoscente.
Comunque vada, è innegabile che questa raffica di indagini sia una conseguenza diretta del downdrade del debito, e che l’amministrazione usa abbia in qualche modo «incentivato» la loto apertura. D’altro canto, le agenzie di rating hanno dimostrato troppo spesso una grande inaffidabilità  di giudizio; o addirittura una vera e propria cecità  di fronte ai problemi (noti) di imprese statunitensi importanti, per non dire del debito pubblico. Difficile, dopo, affidare loro il ruolo di «termometro» obiettivo. Ma un problema c’è anche per il «grande malato» dell’economia globale, gli Usa: rompere il termometro – per quanto difettoso – non è mai il modo migliore di inziare una terapia.


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